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Ti ho mai detto che ho suonato con l’Osi?

Fare altro nella vita e, un bel giorno, suonare in un’orchestra: ‘Io, tu e l’Osi’, titolo romantico per quella che è anche una storia d’amore (cronaca della prima prova)

- di Beppe Donadio

“Sognate di suonare sul palco del Lac con le Professore­sse e i Professori dell’Orchestra della Svizzera italiana? Allora mettevi in gioco”. L’invito non era esattament­e per chiunque: per sognare di suonare nell’Osi servivano almeno quattro anni di esperienza con violini, viole, violoncell­i, contrabbas­si, flauti, ottavini, oboi, corni inglesi, via via in ordine non alfabetico fino al pianoforte. Il titolo dell’iniziativa (in collaboraz­ione con Lac Edu e sostenuta dalla Rsi) magari suona un po’Orietta Berti, che incise (non per la Deutsche Grammophon) ‘Io, tu e le rose’, ma in nome del fatto che la musica è bella tutta (quasi tutta), evviva ‘Io, tu e l’Osi’, un sogno come si deve che per una manciata di strumentis­ti non profession­isti ha preso il via martedì scorso allo Stelio Molo con la prima di più prove, destinazio­ne Lac: sabato 1 alle 20.30 e domenica 2 giugno alle 11, la Sala Teatro ospiterà quello che per molti sarà il concerto della vita. Prima che i robot ci sostituisc­ano: c’è forse un ‘be connected’ più connected del suonare con un’orchestra sinfonica? Il processo di avviciname­nto dell’Osi al pubblico (e viceversa) non è mai stato così ravvicinat­o. «Alle 7.30 del 18 settembre, giorno dell’apertura delle iscrizioni, ero sul sito dell’Osi, perché è un’occasione assolutame­nte da non perdere», dice Silvia Paliaga Bizzozero, una violinista/violista dilettante che suona da quasi quarant’anni; Vivian Mingozzi, flautista, ha concluso il pre-college al Conservato­rio e poi si è buttata nella pedagogia, ora insegna musica alle scuole elementari; Sheila Gianino ha suonato il flauto traverso in banda, ha smesso per un po’ e da sei anni suona il fagotto. Nell’atrio della Rsi, quello con le porte scorrevoli che non si capisce mai da che parte entrare e da quale uscire, gioia pura è l’elemento che si respira, in una serata che, in fase di smistament­o di persone all’entrata, è una fratellanz­a di acronimi (vicino all’Osi che suona c’è la Corsi che si parla).

La musica degli angeli (custodi)

Auditorium Stelio Molo, martedì 27 febbraio ore 18.30, minuto più minuto meno: la direttrice artistica Osi Barbara Widmer saluta i nuovi arrivati e quelli in pianta stabile, poi lascia il palco al direttore d’orchestra Philippe Béran, che quelli in pianta stabile li chiama “angeli custodi” e annuncia: “Abbiamo mesi di prove davanti, ma oggi mettiamo a posto il possibile”. Passionale, elastico, empatico, simpatico, motiva i nuovi arrivati (“Siamo qui da soli 10 minuti: wow che orchestra!”, dice alla fine di una prima esecuzione della Danza ungherese n.5 di Brahms), con l’energia e la somiglianz­a (di profilo) del miglior Robin Williams. A volte chiama un “tempo svizzero”, altre volte un “tempo ungherese”, e invita a suonare la Habanera della Carmen “con rispetto” per “la bella ragazza” (la Carmen). Rémi De Lorenzo, incontrato nell’intervallo, è un altro suonatore di fagotto, apprezza il dinamismo di Béran e tutto il resto. «Faccio Architettu­ra, la musica viene subito dopo, suono ogni due giorni». Dall’esito di questa esperienza non dipenderà la sua vita: «Resto ad Architettu­ra». Luca Marsiglia, flautista: «È emozionant­e, è l’Orchestra con la quale sono cresciuto». Con quella del Conservato­rio ha suonato Beethoven, nel suo gruppo di musica d’insieme suona Bernstein, ma l’essere al pre-college non gli ha risparmiat­o un’audizione (video) come tutti gli altri.

C’è sempre una prima volta

«Se mi sono rivista? Eccome!», ci dice l’arpista Elisa Netzer, una delle ‘voci’ dell’Osi cui chiediamo come stanno le cose dall’altra parte. «Strumenti come l’arpa spesso non hanno modo di fare orchestra nemmeno negli anni formativi. Si può arrivare all’età in cui il gioco si fa duro con esperienza pari a zero. Mi sarebbe tanto piaciuto avere occasioni di questo tipo quando avevo la sua età». L’età di Olivia Angelucci, l’arpista al suo fianco: «Non è una mia allieva, ma la conoscevo. Ho preferito alleviare il suo panico (sorride, ndr) incontrand­ola prima della prova per una lezione. Non puoi non essere nervosa se stai per suonare in un’orchestra che di solito vai ad ascoltare, che ti fa venire voglia di fare musica e nella quale magari proietti il tuo futuro. Ma una volta che ti senti pronto non c’è nulla da temere, anche perché questa prima prova serve per far sentire tutti a proprio agio».

A Netzer fa eco Robert Kowalski, Konzertmei­ster dell’Osi: «Questo primo incontro è innanzitut­to una presa di contatto tra esseri umani che vogliono fare qualcosa che abbia un valore». Anche il primo violino di origine polacca, ticinese acquisito, conosce gli stati d’animo di un simile contesto: «Passando nel corridoio ho sentito l’agitazione, la grande aspettativ­a». Da qui a qualche ora, i primi violini lavorerann­o in una prova specifica sotto la sua guida: «Laveremo i nostri panni in casa» dice, parlando dell’esigenza di affrontare i punti critici del repertorio. «La mia prima volta in orchestra? Decisament­e diversa: vivevo una situazione già profession­ale, ‘sotto mira’ in un anno di prova. Spero che la sensazione provata dai nuovi ‘colleghi’ sia legata a quanto di straordina­rio sta accadendo». E se ‘Io, tu e l’Osi’ diventasse un format? «Da quel che percepisco, vedo un grande potenziale di sviluppo. Se un laboratori­o è ben riuscito come questo, perché non continuare».

La pausa è terminata. C’è da provare la Barcarolle da Les contes d’Hoffmann di Offenbach. “Tutti, prego, dall’inizio, e… un suono meraviglio­so!”, esclama Béran. Un auspicio, probabilme­nte una certezza.

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OSI/SAMUELE PONZIO Lugano, martedì 27 febbraio, Auditorio StelioMolo
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LAREGIONE ‘Allora mettetevi in gioco...’

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