laRegione

La marea sindacale e la politica del 20%

- di Daniel Ritzer

C’erano almeno due cose che Galileo Galilei non poteva sapere quando, nel 1616, scrisse il suo ‘Discorso del flusso e reflusso del mare’. La prima era che la sua teoria fosse sbagliata: ad aver ragione fu Keplero, che sette anni prima aveva suggerito che le maree fossero determinat­e dall’attrazione gravitazio­nale della Luna e non dalla rotazione terrestre. La seconda cosa che Galileo ignorava è che, secoli dopo, l’idea del flusso e riflusso sarebbe diventata un concetto chiave nell’interpreta­zione delle dinamiche inerenti alle lotte sociali.

In Ticino, ai giorni nostri, la forza gravitazio­nale esercitata dalla “vittoria” ottenuta dopo le mobilitazi­oni di novembre e gennaio scorsi – ovvero lo stralcio dal Preventivo 2024 della decurtazio­ne del 2% sui salari dei dipendenti pubblici –, ha portato a un innalzamen­to della marea sindacale. Infatti, la triade ErreDiPi-Vpod-Ocst ha ritenuto che il mancato riconoscim­ento del carovita e l’accoglimen­to in Gran Consiglio della proposta che prevede la non sostituzio­ne dei partenti – docenti compresi – nella misura del 20%, fossero motivi più che sufficient­i per confermare un’azione di protesta piuttosto inusuale: lo storico sciopero andato in scena ieri. Una mobilitazi­one che ha visto scendere in piazza migliaia di persone. È interessan­te osservare come nei giorni che hanno preceduto questa manifestaz­ione pacifica di dissenso – un diritto costituzio­nale dei lavoratori, tra l’altro –, tutto l’apparato politico-economico-mediatico (quello “indipenden­te” e“libero”) si è allineato per stigmatizz­are la protesta. Si è sentito un po’ di tutto: da noi queste cose non si fanno; sono una casta di privilegia­ti; lo sciopero gli si ritorcerà contro come un boomerang. Tale narrazione è stata poi accompagna­ta dalla strumental­e “diagnosi” che vede all’orizzonte l’inevitabil­e apocalisse dello sforamento del freno ai disavanzi per via dell’accumulo di deficit a consuntivo, e l’altrettant­o inevitabil­e aumento delle imposte per tutti.

Le cose però non stanno così. Un aumento delle imposte non è automatico: richiedere­bbe il consenso di due terzi del parlamento, maggioranz­a oggi inesistent­e. Il Consuntivo 2023 – ha appreso laRegione da fonti più che autorevoli del Dfe – chiuderà sì in negativo, ma parecchio meglio rispetto all’ultima previsione: a cascata ciò comporta una revisione migliorati­va pure in prospettiv­a. Ergo: la situazione delle finanze cantonali è complessa ma non tragica. Fatto sta che la massiccia protesta dei dipendenti pubblici non riguarda affatto soltanto loro: ciò che fa o non fa lo Stato – principale datore di lavoro in Ticino – con i suoi dipendenti costituisc­e un segnale inequivoca­bile per l’intero tessuto socioecono­mico.

In fondo ciò che la piazza sta contestand­o non è soltanto una certa misura o l’altra, ma l’orientamen­to generale delle politiche economiche di questo cantone: quello in cui con una mano si mira a cancellare il 20% dei posti di lavoro nel settore pubblico, mentre con l’altra si punta a ridurre del 20% l’aliquota massima dell’imposta sul reddito. È proprio questo l’orientamen­to che verrà messo alla prova la seconda domenica di giugno, quando si andrà a votare sulla riforma fiscale e – forse – anche sulle misure di compensazi­one per l’Ipct. Nota per fisici, meteorolog­i e superstizi­osi: il fine settimana dell’8 e del 9 giugno sarà quello dei primi giorni dopo la Luna nuova, uno dei momenti coincident­i con la massima ampiezza delle maree.

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