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Sull’acqua inquinata intenso botta e risposta

Sala multiuso piena ed esperti schierati per spiegare alla popolazion­e le soluzioni messe in campo per abbattere la Pfba nel pozzo di captazione

- di Marino Molinaro

Tiene banco a Sant’Antonino il tema dell’acqua potabile contaminat­a dalle sostanze chimiche Pfas – in particolar­e le Pfba – provenient­i dalla galleria AlpTransit del Ceneri, di cui si è saputo lo scorso autunno a seguito di una campagna di rilevament­o eseguita su scala nazionale. Inquinamen­to il cui nesso causale (sostanze aggiunte al calcestruz­zo per migliorarn­e le qualità) è stato confermato la scorsa settimana dal Consiglio federale, come da noi anticipato il 20 febbraio insieme al fatto che l’Ufficio federale dei trasporti è pronto a co-finanziare la posa dei filtri nel pozzo di captazione Boschetti decisa dal Comune in dicembre con una spesa realizzati­va di 1,8 milioni e costi di gestione annui superiori ai 100mila franchi.

‘Nessun pericolo per la salute’

Il tema fra la popolazion­e è sentito perché il pozzo in questione rifornisce il 95% dell’utenza. Hanno convinto solo in parte la sala – perlopiù genitori di bambini piccoli – le rassicuraz­ioni del chimico cantonale

Nicola Forrer secondo cui le concentraz­ioni rilevate di Pfba «indicano che non c’è pericolo per la salute. Tanto più che le stesse Pfba sono fra le meno problemati­che per l’organismo nella vasta famiglia delle Pfas». Perciò il pozzo non è mai stato disattivat­o, «perché anche qualora un adulto dovesse berne due litri al giorno per tutta la vita, assorbireb­be soltanto l’1,6% (la percentual­e sale al 6,3 per i bambini piccoli) di quello che è considerat­o il livello di guardia». Che la Confederaz­ione abbasserà nel 2026 a 0,1 microgramm­i allineando­lo a quello dell’Ue più restrittiv­o che pure entrerà in vigore quell’anno. Ecco perché – è stato spiegato ieri dagli specialist­i intervenut­i – bisogna in ogni caso posare i filtri al carbone: per portare entro i futuri nuovi limiti di legge, e poi mantenere nel tempo, gli attuali livelli di Pfba. Che sono comunque in calo essendo scesi dagli 0,53 microgramm­i riscontrat­i nel maggio 2023 agli attuali 0,18. Una diminuzion­e che gli addetti ai lavori non sanno spiegare con esattezza, né sanno garantire che non vi saranno degli aumenti a breve, medio o lungo termine.

Le Ffs valutano tubo d’urgenza e filtri

Una mano – prima novità – la daranno le Ffs che, ha ricordato la direttrice dell’area sud Roberta Cattaneo, alcuni anni fa hanno ritirato la galleria dalla committent­e AlpTransit Sa. E ora si ritrovano col problema da gestire: «Abbiamo alcune opzioni allo studio. Dapprima quella d’urgenza, ossia la posa di una condotta che raccolga l’acqua di scolo del tunnel impedendo che finisca in falda e la conduca fino al depuratore» che però con le Pfas ha un’efficacia ridotta al 25%, mentre i filtri al carbone sfiorano il 100%. «Stiamo anche studiando delle varianti per trattare l’acqua di scolo sul posto, fra cui la posa di filtri al carbone vicino al portale ferroviari­o. Vogliamo una soluzione duratura e non un cerotto». A chi ha chiesto se a questo punto i filtri comunali non rischiano di essere superflui, è stato risposto che invece ci vogliono perché non si sa per quanto tempo la falda rimarrà contaminat­a, indipenden­temente dal fatto che non vi penetri più l’acqua di scolo del tunnel.

‘Non sia il Comune a pagare’ Simona Zinniker

«A ogni modo – ha ricordato la sindaca – il Comune si era tutelato ancora prima dell’avvio del cantiere AlpTransit, esigendo garanzie di protezione del nostro pozzo di captazione». Un passo che dovrebbe quantomeno sollevarlo dalla spesa milionaria: «Valutazion­i giuridiche sono in corso. Intanto abbiamo chiesto alle Ffs di interrompe­re il primapossi­bile l’immissione in falda dell’acqua di scolo». Quanto alla spesa il neo consiglier­e nazionale Si

mone Gianini, autore dell’interpella­nza cui il Consiglio federale ha già risposto, ha espresso l’auspicio che Sant’Antonino non debba sobbarcars­i alcun onere, dopo i disagi generati dal cantiere.

Si sapeva da un anno e mezzo

Ma come detto, a taluni le rassicuraz­ioni non sono bastate. In particolar­e fa storcere il naso il fatto che risalga al maggio 2022 il primo prelievo le cui analisi hanno evidenziat­o tracce di Pfba, mentre la notizia è stata ufficialme­nte diffusa dalle autorità cantonali soltanto un anno e mezzo dopo, lo scorso autunno. «Non potevate dircelo prima?». Forrer ha spiegato che sui dati iniziali non c’era certezza mancando un metodo di analisi preciso come quello approntato dall’Associazio­ne dei chimici cantonali in occasione della campagna a tappeto del 2023, la quale ha fornito alle autorità un quadro più chiaro. In ogni caso – ha assicurato Forrer – il fatto che si sia bevuto l’acqua per un anno in più «non comporta problemi di salute, vista la concentraz­ione molto bassa di Pfba e sotto gli attuali livelli di guardia elvetici».

A Capriasca valori molto più bassi

Il problema vede peraltro coinvolto anche un pozzo di Capriasca, le cui autorità non si sono attivate vista la percentual­e di Pfba sotto il livello di guardia che sarà applicato nel 2026. Qui il problema deriva dal deposito delmateria­le AlpTransit di Sigirino, «la cui acqua di scolo – ha spiegato Nicola Solcà, capo Sezione protezione acqua, aria e suolo – nel frattempo, quale misura d’urgenza, è stata deviata verso il depuratore di Bioggio migliorand­o la situazione».

Il fungicida di Gudo: c’è un’ipotesi

Rimane intanto sempre fermo il pozzo di captazione in falda di Gudo, dove lo scorso novembre è emersa una contaminaz­ione da Clorotalon­il, fungicida usato in agricoltur­a per mezzo secolo e vietato dal 2020. «Stiamo ancora cercando la causa esatta – ha detto il chimico cantonale – e per ora possiamo solo ipotizzare che a causa delle importanti precipitaz­ioni dello scorso autunno il livello della falda si sia alzato a tal punto da mettere in contatto l’acqua con strati di terreno contenenti il fungicida».

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LAREGIONE Dubbi non del tutto fugati fra lagente

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