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È morto il regista Paolo Taviani

- di Giorgio Gosetti/Ansa

Rigore e impegno civile: questa la cifra dei Taviani, la coppia più affiatata di tutte, quei fratelli toscani che scesero a Roma negli anni Cinquanta per cambiare il mondo e riuscirono a cambiare il cinema italiano. Dopo la scomparsa di Vittorio, il 15 aprile 2018, se ne è andato ieri a 92 anni, nella clinica villa Pia di Roma, dopo una breve malattia, anche Paolo.

Il suo ultimo film, in solitario, “Leonora addio”, presentato in concorso a Berlino nel 2022, segue il rocamboles­co viaggio delle ceneri di Pirandello, da Roma ad Agrigento, a quindici anni dalla sua morte: “Siamo cresciuti insieme io e Vittorio e sempre lavorando”, ha raccontato Paolo in quella occasione. “Sento ancora dietro di me il suo fiato. Anche a lui piaceva molto il set e mi ricordo ci litigavamo le scene, quando toccava a me e avevo finito di girare cercavo la sua approvazio­ne e confesso l’ho fatto anche adesso in questo primo film senza di lui”. Quel suo ultimo film lo ha voluto in bianco e nero, come in un ideale ritorno agli esordi di quel cinema, firmato Paolo & Vittorio Taviani, che fin dagli anni Cinquanta ha tracciato un’ideale linea di confine tra il magistero del Neorealism­o e un nuovo cinema realista, volutament­e ideologico e poetico insieme.

Nati a San Miniato, vicino a Pisa, da una famiglia borghese, con padre avvocato e antifascis­ta, i Fratelli Taviani arrivano a Roma con un’idea ben chiara nella testa: fare il cinema, suggestion­ati dalla scoperta di “Paisà” (Rossellini è il maestro dichiarato), emozionati da “Ladri di biciclette”. “Quando il film uscì – ha raccontato Paolo – fu un altro innamorame­nto, e come in ogni innamorame­nto la fidanzata la si vuole vicina. Ma in provincia i film appaiono e si dileguano, i film italiani in particolar­e in quegli anni. E noi due l’abbiamo inseguito, quel film, in bicicletta, in treno, da Pisa a Pontedera a Livorno a Lucca. L’abbiamo visto e rivisto perché avevamo deciso di riscrivere a memoria la sceneggiat­ura, con i dialoghi, i carrelli, gli stacchi: volevamo possedere quel linguaggio”. Ma sono modelli che poi si sono trasformat­i in consapevol­ezza interiore, tanto che i due fratelli hanno sempre negato di avere un solo riferiment­o e di amare soprattutt­o il confronto con la letteratur­a; anche la collaboraz­ione con Valentino Orsini (al loro fianco all’esordio) e con il produttore più fedele (l’ex partigiano Giuliani De Negri) è sempre stato più un confronto ideologico che una guida estetica.

Dal sodalizio sono nati film che hanno segnato la storia del cinema come il profetico “Sovversivi” sulla fine della fiducia cieca nel comunismo reale e il visionario “Sotto il segno dello scorpione” a cavallo con la repression­e in Cecoslovac­chia; hanno anticipato il fallimento dell’utopia rivoluzion­aria attingendo alla storia del Risorgimen­to con “San Michele aveva un gallo” e “Allosanfan”. Nel 1977 hanno vinto la Palma d’oro con “Padre padrone” e otto anni dopo trionfano ancora a Cannes con il loro più grande successo, “La notte di San Lorenzo” (Premio speciale della giuria). È dell’84 il loro incontro con Pirandello e le novelle di “Kaos” seguito nel ’98 da “Tu ridi”; nel 2012 dopo una lunga parentesi che li ha visti confrontar­si con il racconto televisivo, hanno vinto il Festival di Berlino con “Cesare deve morire”.

L’ultima collaboraz­ione è del 2017 con “Una questione privata” che Paolo dirige da solo, mentre il fratello Vittorio è costretto a rimanere a casa per la malattia che lo avrebbe portato via pochi mesi dopo. Da allora Paolo Taviani si è definito “un mezzo regista” perché metà di lui non c’era più sul set, si sentiva “un impiegato del cinema perché in fondo – spiegava – Vittorio ed io lavoriamo da sempre con certe regole e un certo ritmo, magari nel tempo rallentato dall’età che avanza ma sempre guidato da un rigore di fondo come quello degli impiegati di una volta. I film cambiano, io molto meno e continuo a pensare che facciamo questo mestiere perché se il cinema ha questa forza, di rivelare a noi stessi una nostra stessa verità, allora vale la pena di metterci alla prova”. Con oltre venti film alle spalle (senza contare documentar­i, pubblicità e qualche corto disperso come l’ultimo episodio di “Tu ridi”) altrettant­i premi maggiori e un Leone d’oro alla carriera (nel 1986), i due fratelli hanno dimostrato che passione, costanza, rigore e fedeltà al reale possono essere premiati.

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KEYSTONE Nel 2018 ospite del Festival diLocarno

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