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Nel segno di Gianni Realini

Il Centro culturale di Chiasso ospita la prima mostra antologica dell’artista ticinese Gianni Realini, dalla grafica alle opere di grandi dimensione

- di Ivo Silvestro

«Il bello delle mostre antologich­e è che puoi vedere passare il treno del tempo». A dirlo è – per restare alla metafora ferroviari­a, peraltro adatta trovandoci non troppo lontani dalla stazione internazio­nale di Chiasso – il capotreno, ovvero l’artista Gianni Realini al quale il m.a.x.museo ha dedicato, appunto, una mostra antologica, allo Spazio Officina fino al 28 aprile (inaugurazi­one domani, sabato 2 marzo, alle ore 18).

La mostra, intitolata ‘Gianni Realini fra arte e grafica’ e curata da Dalmazio Ambrosioni e Nicoletta Ossanna Cavadini, copre una sessantina d’anni di attività artistica, un percorso che ha portato Realini a frequentar­e vari linguaggi e correnti, dalla pop art all’action painting, sperimenta­ndo con tecniche e stili sempre in maniera personale e originale.

Partiamo dai numeri di questa mostra che vede esposte un centinaio di opere, provenient­i sia dalla collezione privata di Realini sia musei e collezioni­sti privati. A imporsi allo sguardo, appena entrati nello Spazio Officina, sono la trentina di opere di grande formato (perlopiù dipinti a olio, ma anche acrilico e altre tecniche), non solo per le dimensioni ma anche per gli intensi colori primari che caratteriz­zano le produzioni più recenti. Il centro della sala è dominato da otto menhir in legno dipinto, preceduti da una dozzina di modelli di menhir, ma il percorso espositivo ci invita a scoprire anche altre opere forse meno appariscen­ti ma parte importante del “treno del tempo”: quattordic­i gouaches e, soprattutt­o, una trentina di opere grafiche, realizzate soprattutt­o a puntasecca, tecnica che – ha spiegato Realini durante l’incontro con la stampa – maggiormen­te permette di mantenere la dimensione della gestualità. Questa mostra è la prima esposizion­e antologica, «prima e spero non sia anche l’ultima, perché di solito l’antologica la si realizza quando gli scricchiol­ii dell’età iniziano a fare breccia nell’attività di un artista» ha scherzato Realini che, arrivato a ottant’anni, continua a mostrare interesse per le nuove produzioni artistiche, giustifica­ndo l’apparente paradosso di inserire un artista del 1943 nella programmaz­ione di quest’anno, dedicata al futuro. Tornando ai contenuti della mostra, lo spazio dedicato alla produzione grafica di Realini – praticamen­te assente dalle altre sue esposizion­i – è una delle particolar­ità di questa esposizion­e. Il che certamente si spiega con l’attenzione che il m.a.x.museo dedicata alla grafica, ma c’è anche un motivo più profondo: come hanno spiegato i curatori, la grafica si rivela infatti luogo di sperimenta­zione e di indagine, il luogo delle riflession­i che poi troveranno spazio e colore sulle tele e nei menhir. E questo nonostante, in quel “treno del tempo” del lavoro artistico di Realini, la grafica sia arrivata relativame­nte tardi: «Mi ha sempre interessat­o molto, ma non mi ha mai coinvolto a livello manuale perché ritenevo che i passaggi della stampa fossero troppo condiziona­ti dalla tecnica» ha spiegato Realini, ricordando che a fargli cambiare idea fu, a metà degli anni Novanta, il collega Gianstefan­o Galli. «Un abilissimo stampatore che mi ha incoraggia­to e stimolato a intraprend­ere anche questo tipo di espression­e». La grafica è così entrata in dialogo con la pittura per portare avanti le idee artistiche di Realini.

Il “treno del tempo” parte quindi dalle opere del periodo parigino, dove Realini è andato nel 1968 grazie a una borsa di studio federale, entrando in contatto con il cubismo. Seguono poi il ritorno in Ticino, l’attività di insegnamen­to alla CSIA e di artista indipenden­te, i frequenti viaggi di studio in Europa e poi, alla fine degli anni Novanta, i soggiorni a New York e a Minneapoli­s, l’influenza dell’espression­ismo astratto e dall’arte americana contempora­nea, in particolar­e l’action painting di Pollock. Lo Spazio Officina mostra quindi questo percorso con un dialogo tra lavori in bianco e nero e opere di un cromatismo pieno e deciso, in cui i colori primari – «di cui spesso gli artisti hanno paura per la loro forza», ha spiegato sempre Realini – dominano tele di grande formato. Si è accennato all’espression­ismo astratto: la tendenza verso l’astrattism­o è tanto evidente quanto apparente. Come ha spiegato Dalmazio Ambrosioni in conferenza stampa – un discorso che si trova poi approfondi­to nel saggio che accompagna la mostra – corpi e paesaggi si fanno via via più astratti ma non svaniscono del tutto: diventano presenze e territori, sulla soglia dell’astratto e un aggancio di tipo figurativo. Lo si percepisce dai titoli delle opere di Realini. Non troviamo mai quei ‘Senza titolo’ che spesso ricorrono nell’arte astratta e lasciano al pubblico l’onore, e l’onere, dell’interpreta­zione: abbiamo invece descrizion­i precise che guidano verso una lettura, come il sontuoso ‘Esodo’, realizzato appositame­nte per questa esposizion­e, nel quale è possibile riconoscer­e delle figure umane in un viaggio verso l’ignoto.

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‘Dietro le quinte’, 2020, olio su tela
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‘Intervento 1’, 1995, litografia
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‘Esodo’, 2023, acrilico su tela (dettaglio)

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