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La strage della farina

- di Aldo Sofia

Non dimenticat­e l’ora, che già dice molto, se non tutto. Le cinque del mattino, la linea indefinita fra notte e alba, non c’è più l’oscurità totale, ma nemmeno è cominciato il giorno. A Gaza non si dorme. Così, a quell’ora, le immagini filmate da occhi satellitar­i o dei droni in funzione permanente o chissà quale altra diavoleria, mostrano migliaia di uomini-formica che escono dalle macerie, si precipitan­o verso il convoglio di uno dei rari trasporti umanitari. Una moltitudin­e angosciata, frenetica, come impazzita. Spinta da una disperazio­ne che si chiama fame, che insieme a decine di migliaia di morti (finora 25mila, secondo fonti americane), feriti, mutilati e distruzion­i è merce sempre più abbondante e letale (soprattutt­o per i bambini) in quel paesaggio tragicamen­te lunare. All’assalto per qualche manciata di pane e cibo. Quindi, improvvisa­mente, la fuga disordinat­a e caotica, il ritorno precipitos­o verso i moncherini dei palazzi distrutti, una calca assassina dopo alcuni spari sulla folla, corpi travolti, corpi calpestati, corpi inanimati. Così è “la strage della farina”.

Semplici spari di avvertimen­to, spiega l’esercito israeliano (ma ‘avvertimen­to’ per cosa?). Pallottole micidiali sulla folla, è la versione di Hamas e dei testimoni. Ma poi, per le vittime, cosa cambia? Nulla. Più di cento morti palestines­i. Mitragliat­i o finiti nel pandemonio della fuga. Ma il bandolo insanguina­to di questa “tragedia nella tragedia” rimane lo stesso. La feroce punizione collettiva, insopporta­bile, genocidari­a, imposta alla popolazion­e civile, che per Netanyahu e per i suoi fanatici alleati nazional-messianici, fors’anche per parte non piccola della cittadinan­za ebraica, è in buona sostanza complice della barbarie anti-israeliana del 7 ottobre, tragedia inattesa (…)

di Aldo Sofia (…) che continua a cristalliz­zare lo stato d’animo, perpetuare le angosce, alimentare la vendetta e gli umori della popolazion­e di un intero Paese. Insieme al regime di Hamas, che sa di servirsi anche dei suoi civili doppiament­e prigionier­i, questa è la radice della “strage della farina”.

Per una comunità di due milioni e più di persone accalcate in trecento chilometri quadrati, schiacciat­i perlopiù con alle spalle l’insuperabi­le muro del confine con l’Egitto, di fronte i carri armati e l’artiglieri­a di Tsahal, e sopra la testa il fuoco nemico dell’aviazione. Nel caso specifico, comunque, c’è anche di peggio. La carneficin­a è avvenuta nella parte nord del Paese, quella del primo assalto israeliano, gente che non ha voluto o potuto fuggire, seguendo l’ordine dell’occupante, verso un Meridione che doveva essere “securizzat­o” e che invece è diventato subito un’immensa trappola. In attesa dell’offensiva finale contro Rafah, la città di confine, diventato precario, formicolan­te, immenso accampamen­to, centinaia di migliaia di persone in cerca di salvezza, che si nutrono soprattutt­o di speranza, riuscire a mettersi in salvo superando il confine, chissà come e chissà quando, visto che è l’ultima cosa che il rais egiziano, il “fratello arabo” generale-presidente Al Sisi vorrebbe, lui che ha spodestato con un colpo di Stato i Fratelli musulmani, che ne ha sbattuto in galera migliaia, che (esattament­e come Israele) riceve i miliardi dell’aiuto statuniten­se, e che non vuole mettere a disposizio­ne nemmeno una piccola fetta di Sinai in cui accogliere i disperati di Gaza, perché magari infiltrati da Hamas che della Fratellanz­a fa storicamen­te e ideologica­mente parte. Israele ed Egitto alleati, al di là dei proclami ufficiali del Cairo. Non solo le tendopoli di Rafah assediata. Ma anche l’infinita fitta sequenza di profughi rifugiatis­i lungo le spiagge di Gaza, bunker a cielo aperto, sogno di sopravvive­nza legato anche ai pacchi alimentari che “aerei amici” (di Paesi alleati di Netanyahu) lanciano in mare, con pescatori che escono per recuperarl­i, sempre e comunque sotto tiro della marina israeliana. Così come gli Stati Uniti di Biden: sempre più lontani dal governo di Gerusalemm­e, sempre più preoccupat­i da una escalation antiumanit­aria che ne indebolisc­e la posizione regionale, ancor più inquieti dopo il boicottagg­io delle Primarie democratic­he nel Michigan dalla folta comunità islamo-americana; ma Stati Uniti che poi immancabil­mente pongono il vetochiavi­stello a ogni risoluzion­e nel Consiglio di sicurezza dell’Onu quando reclama il cessate il fuoco, ben sapendo che, sul piano elettorale, ben più potente e importante dei suoi concittadi­ni di origine araba sono quelli di religione ebraica.

Sono tante le strade che, anche bizzarrame­nte e disordinat­amente, si intreccian­o e che portano a Gaza. Dove la fame – spesso nella storia, e un po’ come ai tempi di Stalin per l’Ucraina anticollet­tivista – è studiata e applicata anche come arma. Scarsissim­o cibo, pochissimi convogli in rapporto alle enormi necessità di un popolo “rifugiato in casa propria”, criminali ruberie di quel poco, e prezzi alle stelle, raddoppiat­i o triplicati.

Fame che è anche arma di distrazion­e di massa. Perché parallelam­ente, fra non poca distrazion­e, si gonfiano pure i numeri delle vittime palestines­i in Cisgiordan­ia, dove vige esclusiva la legge militare. Da 400 a 500 morti e migliaia di altri arresti dall’inizio di questa nuova pagina di orrore. E in risposta episodi terroristi­ci, come è ancora avvenuto ieri. Parallelo improponib­ile, certo. Anche perché intanto, a ovest del fiume Giordano, aumentano il numero e l’aggressivi­tà dei coloni ebrei, puntualmen­te protetti dall’esercito, “settlers” fanatici, fautori di una generale espulsione degli arabi da “Giudea e Samaria” (oltre che da Gaza), che si impadronis­cono di case e campi palestines­i, e sono sempre più armati dall’ala oltranzist­a del governo. Colonie illegali, tutte, ma proprio tutte, anche quelle di Gerusalemm­e Est, in base al diritto internazio­nale. Diritto trattato come carta straccia, inutile orpello, fastidiose e inapplicat­e regole, decine di volte violate, soprattutt­o dai governi di Tel Aviv o di Gerusalemm­e. Il tutto obiettivam­ente complice del montare di un antisemiti­smo che purtroppo riempie strade e piazze delle nostre città, anche con slogan detestabil­i, fornendo ai difensori di Israele il pretesto che antisionis­mo e antisemiti­smo siano fatti della stessa pasta antiebraic­a. Mentre così non è.

Dopo un lungo e colpevole sonno, complessiv­o fallimento della comunità internazio­nale. Dell’Occidente che si vuole democratic­o. Mentre al Cremlino si gongola per tanta confusione e irresolute­zza dell’“Occidente complessiv­o, debole e debosciato”. Verso cui Vladimir Putin, fra la morte misteriosa in carcere di un oppositore e l’arresto di nuovi dissidenti, che infastidis­cono (niente di più) la sua scontata rielezione presidenzi­ale fra poche settimane, nuovamente rinnova lo spettro nucleare, l’Armageddon, il giudizio finale atomico, se sarà necessario per la sopravvive­nza non sempliceme­nte della Russia, bensì della Russia imperiale.

Un mondo schizofren­ico, sull’orlo del peggio, apparentem­ente impazzito. Come gli uominiform­ica prima dell’infuocata alba mediterran­ea. Ma si sa che nella follia vi è il “bastone contorto” della storia. Vi può essere anche del metodo. Così, a Gaza, si può continuare a morire di fame.

Questo articolo è stato pubblicato grazie alla collaboraz­ione con il blog ‘naufraghi.ch’.

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