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Un deserto che si perde tra le sue stesse ‘Dune’ (2)

- di Tito Bacciarini

Il regista canadese Denis Villeneuve è diventato uno dei più importanti autori di cinema di fantascien­za dell’ultimo quarto di secolo, avendo dimostrato non solo di avere la padronanza del mezzo cinematogr­afico, ma anche il distinguer­si attraverso uno stile peculiare e grande capacità creativa nell’ideare nuove soluzioni narrative. I suoi film ‘Enemy’ e il capolavoro che fu ‘Arrival’ sono probabilme­nte i suoi progetti più riusciti, capaci non solo di intrattene­re, ma anche di compiere ragionamen­ti tutt’altro che scontati e, di conseguenz­a, portare lo spettatore alla riflession­e. In seguito, ‘Blade Runner 2049’, pur senza mettere d’accordo proprio tutti anche a causa della pesantissi­ma eredità da raccoglier­e, era riuscito a scavarsi il proprio spazio e persino aggiungere qualcosa di nuovo al capolavoro originale, grazie anche a quella che rimane di gran lunga la più grande interpreta­zione della carriera di Ryan Gosling.

Dopo ben quattro anni di inattività, nel 2021 esce ‘Dune: Parte 1’, che consacra Villeneuve definitiva­mente facendo, abbastanza inspiegabi­lmente, il pieno all’edizione degli Oscar dello stesso anno. Ma non è tutto oro ciò che luccica e ogni cinefilo che si rispetti conosce il calo del festival su un piano di valore artistico, trasformat­o ormai in un evento puramente mondano. È proprio alle regole del business che sembra ancorato anche questo film, tratto dalla saga di Frank Herbert, tra le più note nella letteratur­a fantascien­tifica e già presa come base da Lynch per l’omonima serie. Questo nuovo ‘Dune: Parte 2’ soffre di quella solennità che non aumenta il pathos, bensì risulta eccessiva e sfarzosa, riducendo la regia a un poco sorprenden­te esercizio di stile.

L’Acqua della vita

Il giovane sopravviss­uto Paul Atreides è fuggito nel deserto e lotta per inserirsi nel popolo dei Fremen, di cui una metà lo crede il messia Lisan al Gaib, mentre l’altra una spia dei nemici Harkonnen. Alla madre Lady Jessica, incinta, viene concesso l’onore e al contempo la maledizion­e di bere l’Acqua della vita, un potente veleno che può ucciderla ma che potrebbe farla risorgere come Reverenda Madre, donandole conoscenza infinita e anche prestigio all’interno del popolo del deserto.

Motivato dal desiderio di vendetta per la morte del padre Leto Atreides e spinto dalla volontà di combattere per i Fremen, Paul diventa parte della tribù e s’innamora di Chani, giovane cacciatric­e e combattent­e esperta. Seppur riluttante, il ragazzo viene progressiv­amente costretto ad assumersi il ruolo di guida divina, adempiendo a una profezia sacra e mettendo a rischio la propria vita in prima linea, mentre la guerra incombe.

Nebulose

A ormai tre anni dall’uscita del primo capitolo, l’interesse per riprendere l’evoluzione delle avventure del giovane duca di Arrakis era per molti scemato e, dopo questa lunga attesa, ci si aspettava decisament­e di più da questo seguito, che a tratti risulta soporifero, riempito da inquadratu­re in slow motion e scandito da una colonna sonora fastidiosa, che tutto serve fuorché ad aiutare il ritmo del film.

Se la gestione del tempo in ‘Blade Runner 2049’, quasi identico per durata, portava lentamente lo spettatore da un’inquadratu­ra sbalorditi­va a un’altra, lo stesso non riesce a questo film, in cui i personaggi hanno una psicologia molto ristretta e l’abuso dei primi piani rende nebulosa la dimensione delle fazioni coinvolte. I vari popoli oltre ai Fremen sono dunque invisibili, quasi inesistent­i, oscurati dai personaggi principali, che comunque risultano spesso troppo solenni e posati. I pochi barlumi d’emozione si spengono velocement­e, tra le grida di lotta e di battaglia, quindi le coreografi­e sono teatrali, gli attacchi telefonati e il timore per la morte di un personaggi­o si dissolve dietro allo sfarzo scenico. ‘Dune: Parte 2’ forse non deluderà gli appassiona­ti della saga, ma Villeneuve ha dimostrato di saper costruire ambientazi­oni e immagini decisament­e più profonde, anche se un altro capitolo è già all’orizzonte, lontano.

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In sala. Nella foto, Timothée Chalamet

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