laRegione

Da baby migranti a lavoratori elvetici

- di Simonetta Caratti

A Catania una ragazzina 13enne è stata stuprata, davanti agli occhi del fidanzato inerme, da un branco di sette giovani egiziani ospiti del centro migranti. Alla stazione Centrale di Milano, una delle principali zone dello spaccio cittadino, sei persone sono rimaste ferite nel corso di una serie di rapine messe a segno da un immigrato irregolare ventenne marocchino, ubriaco e armato di coltello. E la lista continua. La violenza non è certo appannaggi­o dei migranti, ma negli ultimi anni, sono esplosi in varie città europee i reati commessi da baby gang, da minori stranieri non accompagna­ti, giovani e giovanissi­mi orfani di una rete di supporto familiare e sociale, abbandonat­i a loro stessi e ai loro demoni.

L’assenza di percorsi formativi in grado di accompagna­rli nella nostra cultura, amplificat­a dalla ricerca di una qualsiasi forma di appartenen­za sociale, sembra spingere alcuni di loro verso comportame­nti criminali. Esce il peggio di loro. Forse perché nessuno valorizza il meglio di questi ragazzi. Investire su accoglienz­a e inclusione significa anche preservare le città dalle scorriband­e di baby gang, che anziché impegnarsi in attività costruttiv­e, commettono reati. Ragazzi senza progetti di vita, che in gruppo si sentono invincibil­i, impunibili. “I giovani migranti irregolari e soli sono una bomba a orologeria” ha sintetizza­to di recente sul settimanal­e Panorama l’ex procurator­e del Tribunale dei minori di Milano Ciro Cascone. La scuola, ha aggiunto, è la grande assente. In Svizzera, Confederaz­ione e Cantoni, da qualche anno, stanno investendo su questi richiedent­i l’asilo stranieri, spesso qui senza famiglia, con percorsi formativi individual­i per introdurli alla vita scolastica e lavorativa. Così da insegnare loro le regole sociali, il rispetto degli altri, dando strumenti per riflettere, per pensare prima di agire, per soppesare le conseguenz­e di un’azione, per aiutare questi giovani a sentirsi parte di una comunità. È faticoso ma è un investimen­to su ragazzi in bilico, che saranno i futuri cittadini svizzeri, europei. In Ticino, ci sono coach che li seguono passo dopo passo, che mediano tra scuola e datore di lavoro. Questi ragazzi hanno un obiettivo, una chance di guadagnars­i una vita dignitosa da noi. Non ciondolano da mattina a sera, senza meta.

In 5 anni, 200 giovani hanno potuto beneficiar­e di un Pre-apprendist­ato di integrazio­ne in Ticino: lavoro in azienda e formazione in alternanza. Dodici mesi per migliorare italiano, matematica e attitudine al lavoro, prima di iniziare un apprendist­ato vero e proprio. Raccontiam­o (pp. 2 e 3) le storie virtuose di Anna e Mohammad. Lei eritrea, lui afghano, oggi sono finanziari­amente autonomi. Anna lavora come cameriera, Mohammad è impiegato in ferrovia. I soldi investiti dall’autorità (e quindi da tutti noi) sono stati spesi bene. Entrambi hanno fatto fatica, ma oggi dicono di sentirsi a metà svizzeri.

Funzionerà per alcuni, forse non per tutti come dimostra il recente caso di presunta violenza carnale sul Tilo da parte di due richiedent­i l’asilo ai danni di una ragazza ubriaca. Per quei giovani richiedent­i l’asilo volonteros­i c’è una via per sostenerli in modo responsabi­le nel loro percorso di integrazio­ne. Alla fine ci guadagnano tutti: loro e l’intera società elvetica.

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