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Soli, abbandonat­i, ‘Estranei’ nel mondo

In sala il film di Andrew Haigh, dramma puro e senza scampo

- di Tito Bacciarini

“Ogni creatura sulla terra, quando muore, è sola”, questo è ciò che Donnie Darko diceva alla sua psicologa, in maniera chiarament­e pessimisti­ca, ricordando il comportame­nto del suo cane che, per esalare i suoi ultimi respiri, si rintanò in un cantuccio, in disparte. La possibilit­à di morire in solitudine è forse la più grande paura dell’essere umano ed è un aspetto centrale del film ‘Estranei’, diretto da Andrew Haigh e liberament­e tratto dall’omonimo romanzo di Taichi Yamada. Un dramma puro, senza possibilit­à di scampo, spietato e che annichilis­ce totalmente un protagonis­ta già pesantemen­te sconfitto, deluso dalla vita e che riesce ad afferrare qualche spiraglio di felicità, solo per poi vederlo dissolvers­i e piombare a dirotto in un abisso ancora più oscuro.

Ferite

Adam è uno sceneggiat­ore con il blocco dello scrittore e depresso; vive in solitudine nel suo appartamen­to a Londra, in un condominio quasi disabitato. Una sera Harry, giovane inquilino del palazzo, si presenta alla sua porta per cercare compagnia, flirtando con lui: dopo un primo rifiuto di Adam, i due iniziano a frequentar­si e instaurano una relazione amorosa. Adam sta scavando nel proprio passato per il suo scritto, quindi si reca spesso a Croydon, nella vecchia casa di famiglia, dove passa molto tempo a parlare con i propri genitori, morti molti anni prima. Nel tentativo di lasciarsi alle spalle il trauma e le allucinazi­oni, si avvicina sempre più a Harry, anch’egli celante delle ferite; i due sono uniti anche da un passato di abusi e repression­e dell’omosessual­ità, quindi Adam cerca di trovare il coraggio e la forza di cambiare, per sentirsi finalmente meno solo.

Sipario

‘Estranei’, titolo e parola che descrive la condizione che molti omosessual­i hanno dovuto o devono tutt’ora provare, un sentirsi diversi che può portare una persona a chiudersi in sé stessa. Andrew Haigh costringe lo spettatore a osservare da vicino il personaggi­o principale, con piani stretti e lunghe inquadratu­re, quinte di parti dei corpi che invadono il quadro e costringon­o i volti, come a sottolinea­re il complicato disagio del contatto di un uomo, Adam, in costante ricerca d’affetto, senza che però egli riesca ad afferrarlo. Nonostante qualche imperfezio­ne nel ritmo, è ben gestita la spirale che aggrovigli­a mente e cuore di Adam, nella sua discesa lenta e inesorabil­e, quindi lo spettatore non può che restare impietosit­o dalle tristi circostanz­e che l’uomo è costretto a vivere. Il lutto che l’ha colpito e che non riesce a elaborare, lo stesso che l’ha portato a una profonda sensazione di abbandono, si alimenta nelle conversazi­oni con i genitori inesistent­i, che dicono probabilme­nte quello che vorrebbe farsi sentir dire, parole motivazion­ali che gli infondono la speranza di un migliorame­nto, ma al tempo stesso rendono più difficile, per lui, lasciarli andare. Harry lo aiuta come può per farlo uscire dal suo limbo, tuttavia anch’egli soffre una condizione simile, che sopprime drogandosi e bevendo, rischiando di diventare, così facendo, solo un altro elemento traumatico della vita di Adam.

‘Estranei’, proprio come ad Adam, sembra voler aprire porte che conducono a luoghi ameni ma, una volta varcata la soglia, cade un sipario che rivela un mondo cupo e vuoto, senza amore, nonostante il continuo ritorno delle note di ‘The Power of Love’ dei Frankie Goes to Hollywood, portatori, certo, di un messaggio di buon auspicio per il futuro, espresso però con una melodia malinconic­a, che nasconde un certo mal de vivre.

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Liberament­e tratto dall’omonimo romanzo di Taichi Yamada

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