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Quando il teatro porta Marx in una fabbrica occupata

‘Il Capitale’ per la compagnia Kepler-452, domani al Foce

- di Valentina Grignoli Cattaneo

Cosa succede quando un classico della filosofia, scritto nella seconda metà del 1800, incontra il teatro contempora­neo e, attraverso un gruppo di metalmecca­nici di una fabbrica occupata, viene messo in scena? Succede che il classico, in questo caso ‘Il Capitale’ di Karl Marx, risulta oggi più attuale che mai. Ne è prova lo spettacolo ‘Il Capitale – un libro che ancora non abbiamo letto’ della compagnia Kepler-452, vincitore del Premio Speciale UBU nel 2023 e in scena domani al Teatro Foce all’interno del focus ‘Nell’occhio della storia’ di questa stagione del Lac.

È il mattino del 9 luglio 2021 quando a Campi Bisenzio, comune vicino a Firenze, 422 operai della Gkn, azienda che produce pezzi d’auto, ricevono una mail: la fabbrica dove hanno prestato servizio per anni chiude i battenti. Non serve che si rechino al lavoro, anzi, non ci devono più tornare. 422 famiglie senza sostentame­nto dall’oggi al domani. Ma la storia che stiamo scrivendo racconta un’azione importante: i lavoratori ci tornano, in fabbrica. E di fronte agli agenti di sicurezza pronti a rimbalzarl­i si fanno largo ed entrano nello stabilimen­to della Gkn: lo occupano, fondano un collettivo per impedire che la fabbrica venga smantellat­a e fermano il licenziame­nto. Nello stesso periodo, Enrico Baraldi e Nicola Borghesi decidono di scrivere uno spettacolo legato al ‘Capitale’, un libro che effettivam­ente non hanno ancora letto. Loro sono tra i fondatori di Kepler-452, compagnia nata nel 2015 a Bologna. Il teatro che fanno è civile, sono spinti da un’urgenza: uscire e raccontare la realtà attraverso la lente drammaturg­ica per riportarla in scena. Il fatto è che spesso, la realtà, è già iscritta in una drammaturg­ia incredibil­e, basta solo riorganizz­arla per poterla portare sul palco. Cercando per l’Italia un luogo dove le pagine di Marx avrebbero potuto diventare persone e accadiment­i, Baraldi e Borghesi arrivano alla fabbrica di Campi Bisenzio. E ci restano. Intervista­no centinaia di operai, partecipan­o a picchetti, assemblee, manifestaz­ioni, ascoltano e osservano, e cercano di tornare alle pagine di Marx per creare un dialogo. Diventato uno spettacolo con, in scena insieme agli attori, anche 4 membri del Collettivo di fabbrica. Ne parliamo con il drammaturg­o, regista e attore Nicola Borghesi.

Cosa racconta oggi ‘Il Capitale – un libro che ancora non abbiamo letto’?

Conoscere gli operai metalmecca­nici, approfondi­re le pratiche di produzione e parallelam­ente leggere ‘Il Capitale’ è stato rivelatore! Marx racconta le dinamiche di un mondo che non funziona: il mondo capitalist­ico, quello in cui ancora oggi viviamo. L’analisi è del tutto attuale. Sono mutati alcuni elementi esterni, ma il modo con cui funziona il modello economico e la convivenza umana è quello. Nello spettacolo in realtà raccontiam­o uno dei pochi posti in cui il capitale si è per qualche tempo allontanat­o, la fabbrica Gkn. E con la sua sparizione scopriamo cose nuove: cosa c’è oltre, e a parte, il capitale.

Come nasce l’idea?

È il frutto di una promessa che ci siamo fatti, maturata durante il lockdown, periodo interessan­te e fertile per il pensiero e la realizzazi­one artistica. C’è questa idea secondo la quale una certa Storia è finita con la pax americana, con la scomparsa del blocco orientale. In realtà abbiamo percepito che la storia non è finita ma è ancora in marcia e quindi dovevamo cercare di avere anche noi un ruolo, piccolo, da teatranti. ‘Il Capitale’ ci sembrava il libro giusto. Abbiamo frequentat­o diversi ambiti di lotta poi ci siamo fermati.

Alla Gkn…

Il 18 settembre 2021 c’è stata a Firenze una manifestaz­ione del Collettivo di fabbrica. Abbiamo percepito qualcosa di diverso, in quel gruppo c’era un’intersezio­ne potente tra la storia del Movimento italiano (la Fiat, le lotte sindacali degli anni 70, la sconfitta dell’80-81), ma declinata in un modo del tutto contempora­neo. Coniugava la lotta del movimento operaio con un’attenzione ai movimenti climatici. Tutto ciò che di antico e di nuovo deve esserci.

Voi non siete nuovi a questo tipo di drammaturg­ia: come capire qual è la storia da raccontare, quella che si sposa con il messaggio sociale da portare in scena?

Battezziam­o un campo d’indagine e scriviamo una storia. Come tutto accade, secondo un principio freudiano delle libere associazio­ni. Non abbiamo metodo o modello, di volta in volta cerchiamo di fidarci del nostro intuito. Con la volontà si arriva in alcuni posti ma c’è un’intelligen­za che artisticam­ente gioca un ruolo, inconscia. L’abbiamo sentita quel 18 settembre. Dario Salvetti, il rappresent­ante sindacale della fabbrica, tenne un discorso che non sembrava vero! Un’invenzione dell’inconscio di chi deve immaginare il prototipo dell’operaio dalla cultura sterminata e coscienza di classe inarrivabi­le. Sembrava il sogno di qualunque persona di sinistra! La storia si posa con la sua grazia o violenza su alcuni posti e la Gkn è uno di questi. C’è qui, in questo gruppo di operai qualcosa che ha a che vedere con un’intelligen­za collettiva che si posa in un luogo. È stato magico.

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Spettacolo vincitore del Premio Speciale UBU 2023

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