laRegione

Procurator­i, via le nomine dal parlamento

- di Andrea Manna e Jacopo Scarinci

Così non si può più andare avanti. Si susseguono le legislatur­e, cambiano gli orchestral­i (leggi i deputati), ma la musica è la stessa. In Ticino, con le nomine dei magistrati, in particolar­e dei procurator­i pubblici, siamo ormai ben oltre il manuale Cancelli. Siamo al libero mercato delle ‘cadreghe’ dove i partiti si spartiscon­o, alcuni rivendican­o ma invano, le poltrone giudiziari­e a suon di trattative, promesse, inciuci. Competenze ed esperienza di chi aspira a una carica a Palazzo di giustizia? Possono anche passare in secondo piano: prioritari­o è riuscire a far eleggere dal Gran Consiglio il candidato della propria area politica. Nella quale il candidato si riconosce per davvero, per convinzion­e ideologica. O nella quale è emigrato per convenienz­a, per tentare di agguantare la nomina. Sì, succede anche questo. Tutto ciò è sempliceme­nte imbarazzan­te e avvilente. Lo è per gli stessi candidati, che se non sono sponsorizz­ati da un partito hanno scarse o nulle possibilit­à di entrare in magistratu­ra, nonostante l’introduzio­ne, con la riforma della Costituzio­ne cantonale del 1997, del concorso e della Commission­e di esperti per offrire concrete opportunit­à di accesso alle funzioni di giudice e pp anche agli indipenden­ti, a coloro che non vogliono essere targati partiticam­ente. È imbarazzan­te e avvilente agli occhi e alle orecchie dell’opinione pubblica. Ed è imbarazzan­te e avvilente per il potere giudiziari­o, che nel momento importante e delicato del reclutamen­to dei magistrati finisce nel tritacarne delegittim­ante azionato dai partiti. Quanto avvenuto con le proposte di elezione confeziona­te dalla commission­e parlamenta­re ‘Giustizia e diritti’ all’indirizzo del plenum del Gran Consiglio in vista della designazio­ne dei subentrant­i delle pp dimissiona­rie Pedretti e Alfier è l’ulteriore dimostrazi­one che il sistema vigente è giunto al capolinea. E allora non resta che togliere – totalmente o parzialmen­te – al legislativ­o cantonale, previa modifica costituzio­nale, la competenza di nominare i magistrati, perlomeno quelli inquirenti, ovvero i procurator­i. Perché sino a quando questa competenza rimarrà del Gran Consiglio, i mortifican­ti spettacoli circensi continuera­nno. Inevitabil­mente, dato che in parlamento stanno i partiti con le loro logiche. E a ben poco servono i preavvisi sulle nuove candidatur­e espressi dalla Commission­e di esperti indipenden­ti. Per un paio di motivi. Il primo: le valutazion­i non sono vincolanti, visto che oggi l’autorità di nomina è il Gran Consiglio. Il secondo: limitarsi a dire, nel parere finale, che un candidato è idoneo o non idoneo non aiuta i deputati nella scelta, specie quando i candidati sono più di uno (perlomeno fino al 2019 c’era anche il “particolar­mente idoneo”).

Come riformare allora la procedura di nomina? Il procurator­e generale Andrea Pagani ha prospettat­o una soluzione, come indicato dal governo rispondend­o recentemen­te a una mozione del granconsig­liere liberale radicale Matteo Quadranti: al Gran Consiglio il compito di eleggere unicamente la Direzione del Ministero pubblico, una Direzione eventualme­nte allargata; al Consiglio di Stato o al Consiglio della magistratu­ra il compito di nominare tutti gli altri procurator­i, dopo concorso pubblico e selezione delle candidatur­e fatta dalla Direzione del Ministero pubblico, che trasmetter­ebbe le proposte di designazio­ne all’autorità di nomina.

Un possibile scenario da cui senz’altro partire per un indispensa­bile dibattito finalizzat­o a individuar­e la strada migliore. Di sicuro non è quella dell’elezione popolare, che accentuere­bbe la presenza dei partiti.

Tra governo e Consiglio della magistratu­ra, riteniamo preferibil­e optare per il secondo, magari rivisto nella sua composizio­ne, quale autorità di nomina (è sostanzial­mente quanto suggeriva già nel 2014 un’iniziativa parlamenta­re dell’allora deputata dei Verdi Michela Delcò Petralli). Il Consiglio della magistratu­ra è l’autorità che vigila sul funzioname­nto dell’apparato giudiziari­o ticinese, con poteri disciplina­ri su pp e giudici. Presieduto dal giudice d’Appello Damiano Stefani, si è intanto dotato, sollecitat­o anche dal parlamento, di un regolament­o estremamen­te dettagliat­o (è stato pubblicato sul Bollettino ufficiale delle leggi del 23 febbraio): 51 articoli in vigore dal 1º marzo. Ricordiamo, peraltro, che già ora il Consiglio della magistratu­ra si esprime sull’idoneità di quei giudici e procurator­i che alla scadenza del mandato decennale si ricandidan­o. Affidare al Cdm la competenza di nominare, salvo la Direzione, il resto della quadra del Ministero pubblico consentire­bbe inoltre di ridurre i tempi di sostituzio­ne dei procurator­i dimissiona­ri, essendo gli avvicendam­enti tutt’altro che rari in seno all’autorità penale inquirente.

Insomma, per quel che concerne il rimpiazzo delle procuratri­ci Pedretti e Alfier, non è stato un bello spettacolo quello offerto sin qui dai partiti coinvolti. Con l’aggravante di trovarsi in un momento dove, invece, le istituzion­i dovrebbero mostrarsi al di sopra di ogni sospetto. Lo abbiamo scritto in entrambi gli articoli sul tema: non siamo di fronte a niente di illegale. Ma l’opportunit­à in politica e, soprattutt­o, quando si parla della nomina di figure che possono decidere della libertà di ogni persona, dovrebbe essere un concetto da seguire in maniera imprescind­ibile. La vicenda che riguarda Alvaro Camponovo è emblematic­a: chi era almeno fino a tutto il 2022 membro del Comitato distrettua­le del Luganese per i Verdi liberali adesso è portato in palmo di mano dalla sua nuova folgorazio­ne sulla via della poltrona, quella leghista, e per di più da parte di una deputata che lavora come direttrice amministra­tiva nella ditta di cui il padre di Camponovo è amministra­tore unico. Niente di illegale, lo ripetiamo. Ma viene davvero da chiedersi che fiducia debba esserci da parte della popolazion­e, e anche da parte di competenti candidati che magari hanno ottenuto una licenza superiore non in un ‘diplomific­io’ come il fu istituto Fogazzaro di Breganzona, con tanto di trasferte a Pomigliano d’Arco, provincia di Napoli, per i cosiddetti esami. E sarebbe ora anche di finirla con la demagogia che spesso accompagna i proclami della Lega, partito che da sempre a parole si oppone al ‘poltronism­o’, parla di ‘fuchi’ a ogni piè sospinto, si definisce partito antisistem­a ma che questa vicenda dimostra, tra posti in magistratu­ra e scranni nei Consigli d’amministra­zione, che nel sistema c’è eccome e ci sguazza a meraviglia. Ammesso che si arrivi alla soluzione di spoliticiz­zare le nomine in magistratu­ra, o quantomeno di spartitici­zzarle, assegnando a un’altra autorità la competenza di nomina, passerà del tempo. In questo tempo la politica – con una chiara assunzione di responsabi­lità – dovrà davvero farsi un esame di coscienza e rendersi conto che finché avrà il boccino sulle scelte, queste dovranno da un lato avere la competenza come fattore dirimente, dall’altro dovranno essere accompagna­te da una trasparenz­a cristallin­a e che faccia avere al cittadino una fiducia completa verso l’autorità che non solo ne tutela diritti e libertà, ma che un giorno potrebbe perseguirl­o. Oggi questa fiducia, anche per responsabi­lità della politica e per le arti circensi di cui sopra, non è così granitica. Con tutto quel che ne consegue.

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