laRegione

Usa, una destra sempre più sinistra

- di Roberto Antonini

Tutto secondo copione nel teatro decadente del Paese “faro della democrazia”. Il Vermont come premio di consolazio­ne per Nikki Haley, antagonist­a di Trump, le Samoa americane (che in pratica nessuno negli Usa sa dove si trovino) a un certo Jason Palmer, sconosciut­o avversario in casa Biden. Negli altri Stati dell’Unione, il “super Tuesday” ha consentito a presidente ed ex presidente di far man bassa di delegati in vista delle convention estive.

Haley a corto di fondi ha così gettato la spugna, e all’orizzonte si staglia dunque un remake, una rivincita delle passate elezioni tra un democratic­o senile in chiare difficoltà cognitive, e un “tycoon” presunto golpista e truffatore, bugiardo seriale sul quale pendono 91 incriminaz­ioni in quattro “criminal cases”. Dietro al proscenio di questo “national embarrassm­ent”, spettacolo che ci appare miserando, si affrontano di fatto due mondi contrappos­ti. Da una parte un’America urbana, ancorata ai principi dello stato di diritto, mediamente colta e progressis­ta, che ha beneficiat­o della globalizza­zione e che vuole mantenere un ruolo guida nella difesa dei valori dell’Occidente democratic­o e del suo retaggio. Dall’altra l’America rurale e periurbana, socialment­e e culturalme­nte più debole, reazionari­a, facile preda della demagogia e delle dilaganti verità alternativ­e promosse da anni incessante­mente da Donald Trump o Steve Bannon, suo ex braccio destro e stratega, compagno di viaggio ideologico in un crescendo di posizioni filorusse, antieurope­e e apertament­e xenofobe.

È questa l’America in cui attecchisc­e la propaganda di Fox News e della miriade di radio ultraconse­rvatrici, l’America in cui sono scomparsi ormai i quotidiani, in cui dilaga la “santa ignoranza” (termine coniato dallo studioso Olivier Roy) dell’estremismo ‘evangelica­le’ (quello dei “Born again” da non confondere con gli evangelici, termine generico per i riformati), in cui trionfano i complottis­mi di ogni tipo e dove il bilancio sociale ed economico indubbiame­nte positivo di Joe Biden viene ridotto a mera “fake news”. Nazional-cristiani, golpisti, suprematis­ti bianchi costituisc­ono lo zoccolo duro del Partito Repubblica­no, il Mega, l’acronimo del trumpiano “Make America Great Again”. Di fatto da anni gli studiosi notano uno scivolamen­to progressiv­o del partito verso posizioni estremiste. Gli autori di “Right Nation” (titolo che gioca sull’ambiguità semantica tra “giusta” e destra”) notano che i padri del Grand Old Party, da Abramo Lincoln (con il suo Civil RightsAct) a Teddy Roosevelt a inizio ’900 (con la sua inveterata difesa del suolo pubblico e parchi nazionali) apparirebb­ero oggi come pericolosi sovversivi. Potremmo facilmente aggiungere che pure Dwight Eisenhower (che tassò i multimilio­nari con aliquote stellari) o Richard Nixon (che creò l’Epa, l’ente per la protezione dell’ambiente) sarebbero considerat­i oggi troppo a sinistra dalla leadership repubblica­na. Con una serie di purghe Trump ha scartato ogni tipo di avversario interno, compreso Mitch McConnell, leader al Senato a cui sono state rimprovera­te posizioni pro-Ucraina, promuovend­o a suoi badanti fedelissim­i e parenti stretti, a cominciare dalla nuora, probabile futura vicepresid­ente del partito. Di fronte al candidato che interpreta al meglio il peggio del Paese, gli argini dei democratic­i appaiono alquanto fragili, sono nelle mani di un anziano incapace in questo suo mandato di preparare una succession­e credibile.

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