laRegione

C’è ancora buio

- di Daniel Ritzer

A un certo punto tutti i nostri pregiudizi di genere si sono abbattuti su di noi. La situazione era, di per sé, piuttosto complessa: ci trovavamo costretti a individuar­e un sostituto o una sostituta per il partente Erroi, vicedirett­ore in uscita con destinazio­ne Comano. Dopo alcune discussion­i (prettament­e maschili) eravamo giunti a un nome: Cristina. Al sottoscrit­to è stato affidato il compito di contattarl­a e invitarla a un colloquio per sottoporle la proposta. Fatto sta che prima che riuscissi a chiamarla, è stata lei a cercarmi: aveva qualcosa da comunicare. “Maledetta Rsi – ho pensato di primo acchito –, dopo Erroi pure Pinho…”. Mi sbagliavo. Ciò di cui Cristina voleva parlarmi non riguardava in alcun modo una sua imminente partenza. «Sono incinta», mi ha detto. Ricordo bene quella telefonata: ero al posteggio di un supermerca­to a Sant’Antonino, pioveva. «Congratula­zioni! – le ho risposto –. Poi ne parliamo meglio quando rientri dalle ferie». Chiusa la telefonata, via libera alle paturnie: cosa facciamo? Mica possiamo proporle la vicedirezi­one ora che aspetta un bambino: come fanno maternità e carriera ad andare di pari passo? Poco dopo ho condiviso le mie perplessit­à con chi di dovere, e tutti quei pregiudizi miei sono diventati nostri. Mi sono pure confrontat­o con una collega, pensando che forse una donna avrebbe potuto aiutarci a superare quelle stupide barriere, talmente insite nella nostra cultura da essere praticamen­te invisibili. Peggio ancora: quella chiacchier­ata alla fine è stata la dimostrazi­one che gli stereotipi e i pregiudizi di genere non sono affatto una prerogativ­a esclusivam­ente maschile. Il parere della collega, madre pure lei, è stato categorico: «Non puoi chiederle di diventare vicedirett­rice ora che è incinta. Non proporglie­lo nemmeno, la metteresti in una bruttissim­a situazione». Siamo infine arrivati a una decisione, dopo ulteriori riflession­i, ma non è questo il punto. La questione è che ancora oggi, nel 2024, facciamo fatica, tutti, a concepire un mondo di pari opportunit­à, in particolar­e – ma non solo – in ambito lavorativo. Lo conferma, tra l’altro, un recente studio dell’istituto Crif, che rileva come in Svizzera le donne che occupano posizioni dirigenzia­li in azienda siano soltanto il 28,5%, una quota che negli ultimi dieci anni è incrementa­ta di appena quattro punti percentual­i. Chiaro che un certo percorso è stato fatto: se ci si confronta con l’immagine della donna (in bianco e nero) che emerge, per esempio, dal notevole ‘C’è ancora domani’ di Paola Cortellesi, potremmo pensare, anzi illuderci, che le cose non vanno poi così male. Ma sono in gran parte menzogne che raccontiam­o a noi stessi. Una vera società in cui vige l’uguaglianz­a di genere per ora la si può trovare soltanto in qualche romanzo fantascien­tifico. Come ne ‘La mano sinistra del buio’ di Ursula Le Guin, con il suo mondo immaginari­o del pianeta ‘Inverno’ abitato da esseri ermafrodit­i, dove i ruoli di genere e l’impulso sessuale non sono fattori determinan­ti nei rapporti interperso­nali, e dove la separazion­e della società, basata su una presunta predisposi­zione biologica degli individui, è inesistent­e. Una metafora, certo. Ma anche uno specchio nel quale può essere utile guardarci.

La Giornata internazio­nale delle donne che si celebra oggi è un’ottima scusa per ricordarci quanto la strada verso la parità sia ancora lunga e non priva di insidie. Una strada che in ogni caso siamo chiamati a percorrere.

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