Un molo per gli aiuti a Gaza Il Ramadan inizia senza tregua
Netanyahu non molla e insiste su Rafah e Libano
La tregua in vista del Ramadan si allontana. Spunta però una missione militare d’emergenza sulla costa di Gaza per costruire un banchina off-shore temporanea in grado di accogliere grandi navi cargo con aiuti umanitari ma senza “boots on the ground”.
È il colpo a effetto di Joe Biden per il discorso sullo stato dell’Unione davanti al Congresso, dove l’anno scorso aveva detto di voler “finire il lavoro” iniziato nel 2021. Un palcoscenico in diretta tv per risalire dai minimi storici dei sondaggi (38,1%) vantando davanti a milioni di americani i risultati “record” della sua amministrazione, proponendo un aumento delle tasse per aziende e miliardari e rilanciando l’allarme sul rischio per la democrazia se vincesse il suo rivale Donald Trump (commentatore in diretta, minuto per minuto, del discorso “del disonesto Biden”), che ieri ha ricevuto la visita del premier ungherese Viktor Orban.
Il leader dem rischiava di arrivare davanti alle Camere riunite completamente a mani vuote sul fronte della politica estera, con gli aiuti a Kiev bloccati dai repubblicani alla Camera, gli incessanti attacchi Houthi e la crescente pressione dentro il suo partito ma anche a livello internazionale per lo stallo dei negoziati sul cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi a Gaza.
Dopo i lanci umanitari paracadutati dal cielo, Biden ha deciso quindi di avviare pure l’operazione via mare, concordata con un gruppo di “partner in Medio Oriente e in Europa”, e “non ha voluto aspettare Israele”, come hanno confidato alti funzionari dell’amministrazione in un briefing.
La Casa Bianca sta inoltre lavorando con gli israeliani per aprire un nuovo valico direttamente nel nord di Gaza e “continuerà a fare pressione su Israele per autorizzare più aiuti a Gaza via terra”. Insomma, un’accelerazione almeno sul fronte umanitario in attesa di una svolta politico-diplomatica che, se non arrivasse, potrebbe compromettere la rielezione di Biden, come suggerisce la protesta del voto arabo nelle primarie dem.
Colloqui difficoltosi
Cala poi il sipario con un nulla di fatto sull’ennesima tornata di colloqui al Cairo per far tacere le armi nella Striscia di Gaza. Nessuno ha parlato di “rottura”, perché i negoziati riprenderanno la settimana prossima e si è mosso anche il direttore della Cia, Bill Burns, che a quanto si è appreso è volato al Cairo e poi a Doha per continuare le trattative con il premier del Qatar. Ma di certo non ci sarà una tregua prima dell’inizio del Ramadan, domenica o lunedì, mentre il premier israeliano Benyamin Netanyahu respinge tutte le pressioni internazionali e ribadisce la volontà di estirpare Hamas dalla città di Rafah, perché non farlo, ha detto, significherebbe “perdere la guerra”.
Intanto il numero dei morti nella Striscia ha raggiunto quota 30’800, secondo il bilancio fornito dalle autorità di Hamas. Mentre l’aggressività di Israele continua a irritare la Casa Bianca al punto che, secondo il Washington Post, l’amministrazione Biden sembra stia valutando modi per impedire allo Stato ebraico di utilizzare armi statunitensi proprio nel caso in cui attaccasse l’area densamente popolata intorno alla città di Rafah.
L’ultimatum fantasma
Sul fronte nord, invece, i media libanesi hanno riferito che Israele ha dato a Hezbollah una settimana di tempo per accettare la proposta di accordo presentata nei giorni scorsi dall’inviato speciale Usa Amos Hochstein e che prevede, di fatto, l’allontanamento dei combattenti libanesi filo-iraniani dalla linea di demarcazione tra Libano e Israele.
Il quotidiano di Beirut al Akhbar, molto vicino al Partito di Dio filoiraniano, ha scritto che Israele ha informato “Paesi occidentali” che aspetterà fino al 15 marzo, poi sarà pronto a un’escalation militare che può condurre a una guerra su larga scala. Una fonte politica israeliana ha negato l’ultimatum, affermando che “quella notizia non è vera, non c’è una deadline del genere”.