Lo colpì con la mazza, l’accusa chiede 14 anni
‘Ha agito con premeditazione e senza scrupoli’. La difesa contesta invece il reato di tentato assassinio, ritenendo adeguata una pena tra i 4 e i 5 anni
Pacifico che l’imputato vada condannato per aver quasi ucciso una persona colpendola ripetutamente con una mazza di legno, la Corte delle Assise criminali presieduta dal giudice Amos Pagnamenta è chiamata a decidere sulla configurazione giuridica del reato: un’azione premeditata che fonda il tentato assassinio, come ritiene la procuratrice pubblica Pa
mela Pedretti, oppure un atto violento improvvisato; un raptus che significa tentato omicidio per dolo eventuale, commesso per eccesso di legittima difesa, tesi questa sostenuta dalla difesa dell’uomo rappresentata dall’avvocata Maria Galliani, assistita in aula dall’avvocata Micaela Negro.
Sarà pronunciata oggi pomeriggio la sentenza nei confronti del 51enne che il 4 febbraio 2022, nel magazzino della stazione di servizio Eni in via Emilio Motta a Bellinzona di cui era il gestore, ha percosso con una mazza da hurling un conoscente 57enne con il quale aveva un debito relativo alla vendita di un furgone. Vendita, al prezzo di 25mila franchi, di cui l’imputato avrebbe dovuto occuparsi, finendo però per cedere il veicolo a una terza persona per saldare un altro debito. Dopo quasi due anni dalla consegna del furgone, periodo contraddistinto dalle continue scuse e posticipi in risposta ai solleciti del 57enne, è avvenuto il famoso incontro alla stazione di servizio, giorno in cui il 51enne aveva nuovamente promesso di consegnare i soldi, salvo poi comunicare al 57enne che il denaro, ancora una volta, non c’era. Ierimattina, in apertura del secondo giorno di processo, a capo chino l’imputato ha ascoltato per due ore la requisitoria della procuratrice pubblica Pamela Pedretti: 14 anni di carcere è stata la sua richiesta di pena. La pp è convinta che il 51enne abbia voluto uccidere con un atto premeditato. «Proprio non riesce a dirci come sono andate realmente le cose, ovvero di averlo colpito a tradimento alle spalle, mirando alla testa, anche quando la vittima era a terra in una posizione di inferiorità – ha affermato Pedretti –. Ha agito con premeditazione, selvaggiamente e senza scrupoli. Ha cercato di uccidere con modalità perverse: in quella stanza è stata una vera e propria mattanza. Si è poi giocato il tutto per tutto durante l’inchiesta, mentendo spudoratamente per tentare di far passare lui come la vittima». L’accusa fonda le proprie convinzioni sulle dichiarazioni del 57enne, sulla versione e il filmato forniti dal passante che ha chiamato i soccorsi oltre alle conclusioni dei tecnici e dei medici che si sono occupati delle perizie. Pedretti non crede alla tesi difensiva secondo cui l’imputato sarebbe andato in escandescenza in una situazione di legittima difesa, reagendo, dopo mesi di pressioni e minacce, in maniera a dir poco spropositata in una colluttazione fomentata dall’atteggiamento aggressivo del 57enne, quando quest’ultimo ha appreso che i soldi non c’erano. Durante l’inchiesta, l’accusato ha in effetti detto che il 57enne avrebbe minacciato di uccidere i suoi familiari o di dare fuoco alla stazione di servizio.
Ciò che quel giorno, vista l’accresciuta insistenza del creditore, lo avrebbe particolarmente stressato e allarmato. Pedretti – che ha riferito di non esserci traccia di suddette minacce nei frequenti messaggi scambiati tra i due – ritiene semmai che farsi passare come vittima facesse parte di un piano premeditato: «Se quel giorno l’imputato aveva davvero così paura, ci deve spiegare perché lo ha portato nel suo magazzino, con vetri oscurati, dove nessuno sarebbe giunto in soccorso se fosse stato aggredito. La sola ragione era che aveva deciso di ucciderlo in un luogo al riparo da occhi indiscreti, sapendo che nessuno sarebbe arrivato». La mazza da hurling era stata portata in ufficio qualche settimana prima dei fatti e, ha aggiunto la pp, la mattina dell’incontro il 51enne «ha disattivato la telecamera di videosorveglianza per evitare di essere visto entrare nel magazzino con la vittima. Il solo fine era di ucciderlo. 25mila franchi è il valore che l’imputato ha attribuito a una vita umana».
Chiesto un risarcimento di 40mila franchi
Patrocinatore della vittima, durante il suo intervento l’avvocato Marco Masoni ha sottolineato le gravi conseguenze per il suo assistito (confrontato con lesioni cerebrali permanenti), allineandosi alla richiesta di pena della pp e formulando inoltre la pretesa di un risarcimento di 40mila franchi. Masoni che ha pure letto alcune parole pronunciate dal 57enne durante un verbale. “Mi ha rovinato la vita, mi sento psicologicamente annientato. Ci si conosceva da 10 anni, ci si vedeva quasi tutti i giorni. Sapevo che avrei dovuto attendere per i soldi, come era successo in passato, quando alla fine mi aveva pagato. Ancora oggi non mi spiego di essere stato colpito in quel modo”. Lungo e articolato è stato pure l’intervento della difesa, il cui punto centrale la contestazione della qualifica giuridica del reato. «Questo non è un caso di tentato assassinio, ma di tentato omicidio per dolo eventuale, commesso in eccesso di legittima difesa», è andata subito al punto l’avvocata Galliani, che ha chiesto una pena detentiva compresa tra i 4 e i 5 anni. «L’imputato ha indubbiamente perso il controllo di sé, ma non c’è stato un tentativo ragionato di uccidere. La vittima si arrabbia molto quando capisce che i soldi non ci sono: ha una reazione aggressiva, forse con degli spintoni. Carico di tensione, l’accusato inizia a colpire a casaccio in rapida successione». Una risposta violentissima, che Galliani e Negro non vogliono minimizzare, «ma di fronte a un atteggiamento comunque aggressivo della vittima». Per la difesa non è possibile configurare il tentato assassinio sulla base delle versioni dei due protagonisti della vicenda, ritenute entrambe molto confuse. E non ci sono nemmeno prove oggettive per accertare l’ultimo colpo inflitto dall’imputato mentre la vittima si trovava già a terra. Elemento, questo, determinante per configurare il tentato assassinio. Per l’accusa, il ‘colpo di grazia’ è spiegato dalle macchie di sangue rinvenute anche sui nuovi pantaloni che l’imputato ha indossato dopo aver già ferito la vittima e prima di uscire dal magazzino una volta arrivati gli agenti: le conclusioni dei periti hanno portato Pedretti a ritenere che quelle macchie fossero la conseguenza di un ultima mazzata inflitta al 57enne, inerme e steso a terra, dopo il cambio di pantaloni. Altro elemento per la promozione del tentato assassinio, è il fatto che l’imputato non abbia indicato ai primi agenti giunti sul posto che all’interno del magazzino c’era una persona gravemente ferita che sanguinava vistosamente dalla testa. Stessa cosa ha fatto qualche minuto prima con il passante, al quale, dall’esterno delmagazzino, ha risposto che andava tutto bene.