Il cinema necessario
Con una straordinaria e necessaria anteprima del restaurato ‘El ángel exterminador’ (1962) di Luis Buñuel, si apre oggi il Bergamo Film Meeting 42. È l’8 marzo, festa della donna, e ‘L’angelo Sterminatore’ di Buñuel è notoriamente un film sul tragico possesso maschile della donna. Il Festival bergamasco aprirà ufficialmente il concorso e le sue varie sezioni domani per chiudersi il 17 marzo, attento alle tematiche sociali e preciso nell’affermare una cinematografia che è serio impegno di lavoro: non a caso, tra quelli da assegnare, c’è il Premio della Giuria Cgil – La Sortie de l’Usine. Due le sezioni in concorso: una dedicata alla fiction e una al documentario. La prima conta su sette titoli tra cui ‘Levante’ di Lillah Halla, intenso thriller brasiliano sull’aborto, Premio Fipresci a Cannes 2023; ‘Até que a Música Pare’ di Cristiane Oliveira, applaudito in Brasile e ora testimonianza viva di un cinema d’emigrazione, storia di una famiglia originaria del Veneto ed emigrata in Brasile nei primi del secolo scorso, opera che pone l’accento sul senso delle memorie storiche, figlie di migrazioni. E di migrazioni parlano ancora ‘The Wall’ di Philippe Van Leeuw, dove un’impegnata e zelante agente americana della pattuglia di frontiera degli Stati Uniti al confine tra l’Arizona e il Messico perde il controllo e uccide un innocuo migrante davanti a tre testimoni e cerca di coprire il suo crimine, un film che non farà piacere a Donald Trump, e ‘Okarina’ di Alban Zogjani che denuncia il sistema migratorio della Gran Bretagna. Di grande interesse sociale è anche ‘Valami madarak’ di Dániel Hevér, che racconta di un anziano spedito controvoglia dal figlio in un ospizio, e del suo incontro con un’adolescente ribelle condannata a prestare servizio alla comunità, che si prende cura di lui. E l’oggi che esplode in questo festival.
Un mondo che cerca di svecchiarsi
Tra i film della sezione documentaria in Concorso troviamo – di gran rilievo cinematografico, politico e sociale – la coproduzione svizzerotedesca ‘Wir Waren Kumpel’ (Una volta eravamo minatori), diretta a quattro mani dal lucernese Christian Johannes Koch e dall’artista visivo di Dresda Jonas Matauschek. ‘Wir Waren Kumpel’ (già a Soletta 59) ci porta alla fine del 2018, quando l’estrazione del carbone in tutta la Germania è terminata; è lo stesso anno in cui le voci del movimento emergente di protesta per il clima Fridays for Future di Greta Thunberg si fanno più forti.
I due registi ci portano a conoscere cinque minatori alla ricerca di un nuovo ruolo nella vita, dopo essere stati estromessi dal lavoro che per decenni era stato il loro quotidiano. Tra loro anche Martina, matura donna trans che ha deciso, non avendo altre strade, di continuare a lavorare in miniera, malgrado una transizione non facile da spiegare ai colleghi costretti a trovarsi un nuovo lavoro. Sono una umanità vecchia e un mondo che cerca di svecchiarsi quelli che i registi mostrano con delicatezza e sincero rispetto verso il dolore di chi si ritrova a costruirsi. È, questo, solo uno spaccato, ma indispensabile, su un tema che la politica ignora e che segna gran parte della vecchia forza lavoro del continente europeo. Un film necessario nella sua dolorosa crudezza.
Retrospettiva/e
Ma il Bergamo Film Meeting è anche Cultura cinematografica ed ecco l’altrettanto necessaria retrospettiva dedicata al troppo dimenticato Éric Rohmer, regista riservato e ironicamente deciso a non raccontarsi. Intanto il suo nome è lo pseudonimo di Maurice Henri Joseph Schérer, nato nel 1920 in Francia. Rohmer ha fornito diverse date di nascita (tra cui il 21 marzo e il 4 aprile) e dichiarato di essere nato a Nancy e a Tulle. I suoi film sono intrisi del suo umorismo, certamente più dei suoi sodali François Truffaut, Jean-Luc Godard e Jacques Rivette con cui nel 1950 fondò ‘La Gazette du Cinéma’, che nel 1957 sarebbe stata rinominata ‘Les Cahiers du Cinéma’. Come è noto, la sua filmografia è stata definita dai più (parafrasando Balzac) la ‘commedia umana’, concentrata principalmente sulle sfumature della condizione esistenziale e sui dilemmi morali dei suoi protagonisti, una definizione da manuale che poco rende giustizia alla bellezza profonda del suo fare cinema. E ancora, a Bergamo, un omaggio a un altro grande francese: Sacha Guitry, il re della commedia, commovente ultimo capocomico in un cinema che va a scindersi tra commerciale e autoriale. Sicuramente l’ultimo erede di Georges Méliès, ovvero della magia del cinema. Bergamo vale applausi anche solo per questo omaggio.