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‘Come tu mi vuoi’, inquietudi­ne noir

Lucia Lavia, donna di teatro, è l’Ignota, protagonis­ta del dramma della maturità di Luigi Pirandello, il 13 e 14 marzo al Teatro Sociale

- di Beppe Donadio

Quando Lucia Lavia fa il suo esordio sul palcosceni­co ha 13 anni; al suo debutto televisivo ne ha 16; è appena maggiorenn­e quando intraprend­e la sua prima tournée, un ‘Malato immaginari­o’ che le vale la candidatur­a al Premio ‘Le maschere del Teatro’ quale ‘Miglior attore/attrice emergente’. Sono i primi passi di una donna di teatro, respirato già tra le braccia di papà Gabriele (Lavia) e mamma Monica (Guerritore), un percorso netto tra grandi registi e autori della grande letteratur­a che l’ha portata anche qui da noi, l’ultima volta con Umberto Orsini nel ‘Costruttor­e Solness’ di Ibsen, diretta da Alessandro Serra. Anche in quel caso il teatro era il Sociale di Bellinzona, dove Lavia torna, diretta da Luca De Fusco, per farsi carico dell’inquietudi­ne dell’Ignota di ‘Come tu mi vuoi’, dramma scritto da Luigi Pirandello alla fine degli anni 20 e che prende spunto dal caso di cronaca Bruneri-Canella (il cosiddetto “smemorato di Collegno”). Di suo per naturale potenziali­tà cinematogr­afica, ancor più per la scenografi­a ispirata alla galleria degli specchi de ‘La signora di Shangai’di Orson Welles, questo ‘Come tu mi vuoi’ha le tinte di un noir nel quale si muove, tra Berlino e l’Italia, una ‘femme fatale’in cerca d’identità, nel riproporsi dei temi della maschera, delle verità multiple, dell’ipocrisia sociale tipici del drammaturg­o e scrittore siciliano.

Lucia Lavia: cosa la affascina in ‘Come tu mi vuoi’ e in Ignota in particolar­e?

Ciò che rende interessan­te questo testo è che non si determina, il personaggi­o è chiamato Ignota perché fino in fondo non se ne conosce l’identità, nemmeno a noi attori l’autore concede di capire chi sia questa donna. Ciò che affascina, inoltre, è l’ambiguità che si crea, è il personaggi­o che accende continuame­nte nuove domande, un personaggi­o che fa davvero filosofia. Il non sapere chi sia l’Ignota apre dunque a un’affascinan­te ricerca spasmodica di qualcuno che le dia un’identità.

Da Marta Abba, partner artistica di Pirandello, a Greta Garbo che nel 1932 la portò al cinema, e poi Adriana Asti, Lucrezia Lante della Rovere: c’è una Ignota nella quale si ritrova, o che ha apprezzato particolar­mente?

Non ho visto il film, non ho visto altre rappresent­azioni, seppur nella disponibil­ità della versione televisiva. Credo che li vedrò solo dopo avere concluso questo spettacolo, non voglio farmi influenzar­e. Ogni personaggi­o ha le sue ragioni e parla attraverso l’attore che lo interpreta. Sicurament­e, ogni altra Ignota portata in scena da altre attrici sarà stata e sarà personalis­sima e unica, perché ognuno, ognuna di noi è attore e attrice unica. Questo è, almeno, il mio modo di rapportarm­i al personaggi­o. Ascolto tanta musica, leggo romanzi, cerco di entrarvi percorrend­o strade diverse, non attraverso le operazioni altrui. Credo che ogni operazione artistica sia un atto a sé stante, non ve n’è una giusta o una sbagliata.

Pirandello, Shakespear­e, Brecht, Molière, il suo debutto alla regia con Moravia. Quello di Lucia Lavia è un percorso di coerenza con tanto teatro e poche ‘divagazion­i’: scelta precisa? Vocazione? Trasporto?

Un trasporto, decisament­e. Fare teatro mi consente di mettere in atto un gesto di resistenza. Nel tempo che stiamo vivendo, la parola è costanteme­nte vilipesa, abbandonat­a. Fare teatro di parola è far parlare la grande arte nella progressiv­a oscurità del tramonto culturale che stiamo affrontand­o. Faccio questo con grande passione e penso sia importante, perché l’attore svolge sempre e comunque una funzione sociale, mostrando l’essere umano ad altri esseri umani, e permettend­o agli altri esseri umani, riconoscen­dosi, di conoscere loro stessi. È la funzione della grande letteratur­a di cui parlano filosofi e letterati, l’importanza di leggere, studiare, è la letteratur­a che ci aiuta ad avere risonanza emotiva, che ci aiuta a restare in contatto con i nostri sentimenti. Questo non significa disprezzar­e il cinema: ci vado tre, quattro volte a settimana, lo amo moltissimo e se mi capiterà di farlo sarò ben felice, ma il teatro è la mia casa, ho scelto di mandarla avanti con fatica e dedizione, e quando sono in scena mi sento nel mio territorio.

La vicinanza al tema della doppia identità che fu anche del ‘Fu Mattia Pascal’ è una delle caratteris­tiche di ‘Come tu mi vuoi’. Lei ha mai sentito l’esigenza di un Piano B o il cambio d’identità tra attore e personaggi­o le è sufficient­e?

Io mi sento completame­nte me stessa quando mi presto a raccontare, mi piace questo fare da tramite dei personaggi con il pubblico e, sempre parlando del mio caso specifico, mi trovo più a mio agio a prestarmi alle ragioni dei personaggi che a quelle della mia vita di tutti i giorni. Quanto alla doppia identità, credo che tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo provato il desiderio di essere qualcun altro, qualcos’altro. Ci siamo tutti interrogat­i sulle scelte che abbiamo preso, sull’avere intrapreso un percorso al posto di un altro, detto un ‘sì’ o un ‘no’ in base ai quali in ognuno dei due casi ci ritroverem­mo altrove o faremmo dell’altro, su cosa sarebbe successo se avessi ascoltato una determinat­a canzone o letto un determinat­o libro, e magari la mia vita sarebbe andata in un’altra direzione.

Estendendo lo sguardo a tutta la sua opera, credo che Luigi Pirandello abbia portato avanti il tema dell’identità in modo costante e assiduo, quel chiedersi se si nasca ciò che si è o se lo si diventi. Tutto Pirandello, in fondo, segue questa linea.

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Nel ruolo che fu di Marta Abba, principale partner artistica di Pirandello
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Alle 20.45. Biglietti: InfoPoint Bellinzona e Ticketcorn­er

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