laRegione

Il governo dei peggiori

- di Andrea Ghiringhel­li, storico

Premessa: non è sorprenden­te la recita che ci è offerta dalla politica; è sempliceme­nte la vecchia abitudine che si ripete.

Parto da lontano. Platone aveva auspicato il governo dei migliori, ma il tempo e le vicende ricorrenti ci hanno mostrato che l’auspicio del filosofo è fuori portata. A guardare quel che sta succedendo, mi vien da pensare – lo dico con pacata ironia – che la democrazia così come si presenta oggi sembra proprio dar ragione all’Anonimo ateniese che, intorno al V secolo a.C., riteneva la democrazia un sistema politico che non ha a cuore il bene di tutti, ma il beneficio dei peggiori e dei meno dotati.

La nostra democrazia liberale non è quella degli antichi, ma oggi è più che mai presente il governo dei peggiori e pure la tentazione dell’uomo/della donna forte: ce lo dicono i sondaggi, ma basta leggere i giornali per averne definitiva conferma.

Il pensiero democratic­o ha tante virtù ma anche un problema: punta sul numero e non sulla qualità. Giorgio Gaber l’aveva capito: non è la democrazia nemica della qualità, è la qualità che è nemica della democrazia. E talvolta, direi spesso, per i partiti, impegnati a gestire e controllar­e le risorse dello Stato, conta di più il numero; la qualità, se c’è, viene dopo nella graduatori­a da prendere in consideraz­ione.

Lo sappiamo: la democrazia presuppone cittadini preparati e informati, ma oggi – sembra paradossal­e – siamo piuttosto malmessi e a farla da padrona è l’ignoranza. E talvolta, visto l’esito, ho l’impression­e che sia il voto a “nobilitare” l’ignoranza. Sì, perché se a votare sono cittadini disinforma­ti e non informati la rapida involuzion­e della politica e dei politici verso la mediocrità è assicurata.

Quando un eminente studioso come David Runciman conclude che oggi al potere non ci arrivano i bravi per merito o capacità ma quelli che “sono bravi nel gioco sporco della politica”, beh, c’è poco da essere ottimisti.

Oggi la democrazia rappresent­ativa è in cattiva salute perché, dicono i bene informati, i deputati eletti sono scelti dai partiti e più che il bene generale sono gli interessi di parte a essere perseguiti. Infatti è il senso di estraneità, il rifiuto, la sfiducia nella politica e nei politici a costituire la caratteris­tica del nostro tempo. Francesco Pallante, professore di diritto costituzio­nale (testo consigliat­o: Contro la democrazia diretta, Einaudi, Torino, 2020), ci informa che oggi dilagano i comportame­nti politici degenerati: riflessivi­tà, lungimiran­za e responsabi­lità non sono un bagaglio consueto nella politica attuale e infatti i risultati li vediamo. Astensioni­smo, crescita dei vari populismi, ne sono la conseguenz­a. Il diffuso disamore, per non dir di peggio, verso la politica ne è la inevitabil­e conseguenz­a.

È un discorso vecchio e qualcuno mi rimbrotta impaziente: Santiddio! Stai ripetendo le stesse cose da una vita! È vero e chiedo venia, ma come non indignarci di fronte ai frequenti spettacoli che ci segnalano che il peggio sta alle porte e si affaccia con ostinazion­e anche a casa nostra. Un cenno a due fatterelli.

Primo episodio. C’è stato, recentemen­te, l’esercizio del diritto costituzio­nale allo sciopero: una marea di persone, tante del servizio pubblico e pure del privato, hanno manifestat­o il loro legittimo disagio. La politica cosa fa? Il governo della Repubblica invece di obiettare, se del caso, con i suoi argomenti di contrariet­à all’evento, proclama che “questo sciopero è poco comprensib­ile” (come a dire che troppi cittadini si agitano senza plausibili ragioni e poco senno), alcuni parlamenta­ri ribadiscon­o che l’esercizio “è inopportun­o” e non manca il solito “luminare” che, con spiccato piglio analitico (si fa per dire), considera gli scioperant­i dei “privilegia­ti lavativi” che offendono i veri lavoratori. Questa è la risposta esemplare della politica e poi ci meraviglia­mo della distanza crescente e della generale sfiducia dei cittadini nei confronti di chi le istituzion­i dovrebbe rappresent­are con costante decoro. Secondo episodio. Un’esaltazion­e dell’indecenza è l’osceno e il vergognoso spettacolo offerto ai cittadini dalle nomine dei procurator­i attorno a cui si accapiglia­no partitoni, partitini e famiglie eccellenti. Come possono essere credibili fino in fondo nomine in cui a contare non sono la capacità e il merito, ma la famigerata legge Cencelli: dove a valere è il colore politico e pure il clientelis­mo e gli intrallazz­i familiari hanno il loro peso. Uno spettacolo indecente, una pagina esemplare di diseducazi­one civica che meriterebb­e di essere discussa nelle scuole: forse i nostri giovani riuscirebb­ero a capire perché siamo così malmessi e perché ci sono tantissimi libri che trattano della mediocrità della politica.

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