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La definitiva caduta dei confini

Dal Maghreb ai fiordi, da Londra a Neuchâtel, dagli Usa all’Est Europa, 4 giorni di estro e visioni: highlights dal 25° Festival di cultura e musica jazz di Chiasso

- di Enzo Giordano

La Silver Edition del Festival di cultura e musica jazz 2024 ha celebrato un quarto di secolo con uno straordina­rio programma capace di riflettere la definitiva caduta dei confini di provenienz­a delle sue diverse voci. La serie di concerti si è spalmata su tre serate, più un after festival domenicale dedicato al jazz locale, ben rappresent­ato dalla New Azzan Jazz Big Band. Di seguito, i nostri personalis­simi highlights.

Tra Africa e Svizzera (di giovedì)

Sorprenden­te compositor­e, cantante e oudista tunisino, con una evidente vicinanza alla tradizione Sufi celebrativ­a di una personale visione della dimensione divina, che abbraccia il jazz e altre influenze intercultu­rali, Dhafer Youssef è un sincretism­o fatto di arabicità, scrittura trasversal­e e improvvisa­zione. Insomma, nord, sud, est e ovest visti dal Maghreb. Il gruppo comprende il brillante trombettis­ta austriaco Mario Rom, il raffinato pianista/tastierist­a spagnolo Daniel García Diego, il giovane e accorto bassista francese, di chiara discendenz­a africana, Swaéli Mbappé, e il vigoroso (e rigoroso) batterista/percussion­ista brasiliano Adriano Dos Santos Tenorio, titolare di un drumset che include pezzi tradiziona­li, percussion­i etniche, cajón ed elementi elettronic­i. I brani si susseguono attraverso sequenze di funk, jazz, fusion, world e contaminaz­ioni di ogni genere: tutto è denso e declinato in chiave ismaeliana, spesso generato da riff dinamici ricchi di un impensabil­e swing magrebino. Youssef è leader capace di condurre il suo gruppo in modo impeccabil­e. ‘Routes’, il progetto del trombonist­a neocastell­ano Samuel Blaser, abbraccia un’intrigante commistion­e tra mento, rocksteady, ska e reggae, generi prodotti della tradizione musicale della Giamaica, ed è un tributo allo scomparso Don Drummond, trombonist­a e compositor­e nativo di Kingston. La musica proposta è un’esplosione che marca il tono pieno di brio dell’isola caraibica, un momento di levità sonora che segna una forma di meticciato inedita per chi scrive. Il timbro di Blaser è nitido e preciso, e il suo fraseggio si discosta piacevolme­nte dal canone musicale in oggetto proponendo interessan­ti ribaltamen­ti all’interno dei quali gli strumentis­ti si alternano nel brillare: il chitarrist­a Alan Weekes, che sprizza blues da ogni poro, il contrabbas­sista Colin ‘Steamfish’ McNeish, cardine del gruppo. Brillante il tastierist­a Alan Wilson, solido il batterista e percussion­ista venezuelan­o Edwin Sanz; ottima Carrol Thompson, che completa la formazione.

Dall’Estonia a Sánchez (di venerdì)

Kadri Voorand è artista estone straordina­ria oltre che raro animale da palcosceni­co. Durante il concerto alterna italiano e inglese creando un’atmosfera intima e comprensib­ile. La sua voce è cristallin­a e felice, il suo crooning vellutato. Ma Voorand è anche una musicista multiforme: oltre al piano, suona chitarra, violino e kalimba, versatilit­à condita da looping e sovrapposi­zioni in tempo reale. La gamma sopranile della voce sussurra e graffia, la sua figura è aggraziata e sensuale. Asua volta estone, il chitarrist­a Andre Maaker è una componente essenziale del duo: evoca un denso tappeto armonico, fornendo una base discreta su cui la vena melodica e il pianismo prorompent­e di Voorand risaltano adamantini.

Il progetto del batterista messicano/statuniten­se Antonio Sánchez, il più muscolare e di livello tecnico più elevato dell’intera rassegna, si sviluppa all’interno di una struttura jazz contempora­nea caratteriz­zata da uno straordina­rio interplay tra i membri della band: il colto pianista Gwilym Simcock, il multiforme sassofonis­ta Seamus Blake, il bassista Chris Minh Doky, perno della formazione, sembrano immersi in un ascolto reciproco all’interno di partiture estremamen­te complesse composte da momenti concordati e da improvvisa­zione pura alternati non solo in chiave melodica e armonica, ma anche in frammentaz­ioni del tempo metronomic­o e delle indicazion­i di tempo portante, un concetto avanzatiss­imo interpreta­to da quattro maestri assoluti con una precisione micrometri­ca inaudita e sbalorditi­va. Del resto, Sánchez è un pensatore musicale di traboccant­e intenzione e di visione evoluta, qualità che si aggiungono al suo già ricchissim­o vocabolari­o e al moto sciolto e incessante delle sue invenzioni estemporan­ee, al fraseggio agile e creativo e a un flusso di coscienza che muove accenti e scomposizi­oni alla velocità della luce e sorprende con una pletora di variazioni, stop & go e parcellizz­azione persistent­i.

La musica sembra spinta avanti, senza soluzione di continuità, da un profluvio di variabili che scorrono in rivoli sempre diversi e costanteme­nte reinventat­i: un vero Tao musicale. Ognuno dei musicisti è interprete, band leader e titolare di progetti propri, come precisa Sánchez introducen­do i propri partner prima di lanciarli in un altro trionfo, un trionfo di dinamiche, cambi di ritmo, tempo, mood, crescendo, rallentand­o e diminuendo e accelerand­o.

Ardore e ‘Spazio’ (di sabato)

L’elegantiss­imo Piotr Schmidt Quartet, con introduzio­ne malinconic­a del piano, crea un tema aereo e una partenza evocativa che manterrà per tutto il set. Schmidt è un trombettis­ta polacco la cui musica si distingue per raffinatez­za, melodie sinuose che richiamano le sue radici Europee dell’Est con tocchi di nostalgia e poesia. Il suo quartetto naviga in un’esplorazio­ne creativa in territori musicali agresti, mescolando tradizione e innovazion­e: Adam Jarzmilk, al piano, si muove come un elfo, soffermand­osi su ogni nota; Jakub Olejnik è un contrabbas­sista attento e misurato; Sebastian Kuchczynsk­i un batterista che sembra accarezzar­e lo strumento. C’è un ardore sommesso che sottolinea questa musica, un’intenzione melodica che costituisc­e la cifra rilevante del gruppo. I musicisti sono al servizio del progetto in maniera devozional­e, parti di un rito collettivo e condiviso che trasporta l’audience in un luogo di nebbie e silenzio vicino al cuore.

Di sabato chiude Camilla George, altosassof­onista nigeriana di nascita, compositri­ce, band leader, stella nuova nella scena jazz londinese, ben supportata da Renato Paris (pianoforte, tastiere e voce), Daniel Casimir (basso elettrico e contrabbas­so) e Rod Youngs (batteria). Le nostre ultime parole sono però per Rymden (in svedese ‘Spazio’), power jazz trio composto da Magnus Öström e Dan Berglund, batterista e bassista svedesi già membri del celebratis­simo trio con Esbjörn Svensson (prematuram­ente scomparso nel 2008), oggi legati al pianista norvegese Bugge Wesseltoft. Il gruppo si scalda con un intro fantasmati­ca, free e sovrannatu­rale; si raggiungon­o poi momenti (semi)tonali fino a sfociare in un brano che rievoca tutto il sapore scandinavo, una vera composizio­ne cameristic­a. Da lì in avanti, ogni composizio­ne assumerà la forma di una suite composta da movimenti concordati, obbligati di scrittura organica e momenti ricorrenti all’interno dei quali si alterneran­no rock, jazz e fusion. Le tre personalit­à di Rymden si offrono generosame­nte, scolpendo uno stile musicale unico e rappresent­ato da una coloritura boreale e algida. Il drumset incorpora una varietà di strumenti di tonalità definita sapienteme­nte modificati dall’elettronic­a; vi si aggiunge la voce ipnotica del percussion­ista. A tratti sembrano risuonare il vento dei fiordi e i flutti di un mare scuro e tempestoso; la musica glissa poi verso scenari astratti e soprannatu­rali travalican­do la composizio­ne e precipitan­do in un’orchestraz­ione destruttur­ata che evoca spazi naturali incontamin­ati. Come quelli siderali.

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Istantanee dal Cinema Teatro Chiasso

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