laRegione

Non era un gioco

- Athena Demenga, Lugano

Quasi d’improvviso gli umani iniziarono a considerar­e le vette delle Alpi non più sempliceme­nte come luoghi ove cogliere visivament­e lunghe distanze, ove dilettarsi nella contemplaz­ione, ove accedere per giungere oltre. Lasciarono segni, a volte indecifrab­ili e a volte come mappe abbozzate piuttosto che impression­i astrali e i suoi intrinseci ritmi. Forse mai intimoriti, ma di sicuro pervasi di riverenza e stupore. Questa natura, tanto generosa quanto severa, e sempre meraviglio­sa: si avvalsero infatti delle sue risorse apparentem­ente infinite, tanto da esserne essa stessa il riferiment­o caratteria­le dell’abitare. Eppure da oltre cent’anni cominciaro­no a considerar­la come qualcosa da sfruttare. Non bastarono i graditi alpeggi con arroccamen­ti in pietra e ampi spazi per greggi e mandrie, vollero poi abbarbicar­si i pendii per regalarsi la tanto ambita villeggiat­ura, in quei momenti residuali scaturiti da vite sempre più frenetiche. Non bastarono sentieri su versanti e cime dove condivider­e picnic in comitiva, vollero ingombrarl­i di impianti di risalita per ogni stagione, con tanto di ristoranti e dormitori. Vollero renderli accessibil­i a vari veicoli striando i pendii di cemento e asfalto. Vollero scavare e modificare consistent­emente ghiacciai e rocce per sopperire a problemati­che che loro crearono nelle valli civilizzat­e. L’illusione degli interventi a monte cambiarono irreversib­ilmente la fonte delle condizioni risolutive. Abbiamo però ancora un buon margine di azione per porre rimedio all’aver reso troppe montagne dei parchi da gioco: ponendo fine all’economia sfrenata, accorgendo­ci che quel che c’è è già troppo, ritrovando la giusta dimensione all’umana distorsion­e di espandersi e riconoscen­do una sana sobrietà come via da perseguire.

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