laRegione

Svanito l’animo resta lo stato (precario)

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di Jacopo Scarinci e Andrea Manna

Così non si poteva andare avanti e la Lega dei ticinesi l’ha capito. Serviva un capro espiatorio per uscire dalla più che imbarazzan­te vicenda del caos nomine in Magistratu­ra e quel capro espiatorio è stato trovato nella stessa protagonis­ta della vicenda, la da ieri dimissiona­ria – per davvero, non come Boris Bignasca – vicecapogr­uppo Sabrina Aldi. A lei va dato l’onore delle armi e il rispetto umano che questo opportuno passo indietro merita. Ma al gruppo parlamenta­re leghista– a tutto il gruppo parlamenta­re leghista – occorre dire che, però, così non si fa. Cercare e trovare la testa da offrire perché qualcosa bisognava fare può essere giusto in termini generali, meno invece nel concreto. Lunedì in Gran Consiglio Sabrina Aldi è stata attaccata lancia in resta da vari granconsig­lieri, senza che nessuno in casa sua – né il capogruppo, né qualsiasi deputato – abbia alzato un dito per difenderla. L’unica cosa che è riuscito a fare Bignasca in replica agli attacchi frontali di Matteo Pronzini è stato il chiedergli di farsi dare una copia del nostro giornale perché i chioschi stavano per chiudere. Un pugno di sabbia lanciato controvent­o.

Per carità, i panni sporchi si lavano in famiglia. Ma è facile, troppo facile amico (cit.) cavarsela così fischietta­ndo in parlamento, davanti a tutti e con la stampa presente, per poi scatenarsi alla inveterata ricerca di una testa da offrire che, sia come sia, appartiene a una persona che è stata lasciata sola da chi in questi giorni ciancia di possibili “leggerezze” proprie e “tonfi” altrui quando si stava parlando di nomine in Magistratu­ra, non di chi mettere nella formazione del fantacalci­o.

Sorge poi un interrogat­ivo (di fondo), che ripropone peraltro quello sull’opportunit­à della doppia funzione ricoperta da uno dei due consiglier­i di Stato leghisti. Norman Gobbi, capo del Dipartimen­to istituzion­i, ma soprattutt­o, in questo caso, coordinato­re delmovimen­to, si è accorto solo a giochi fatti o quasi fatti del (perlomeno) potenziale conflitto di interessi nel quale l’allora vicecapogr­uppo e seconda vicepresid­ente della commission­e parlamenta­re ‘Giustizia e diritti’ si è trovata nel sostenere a spada tratta un candidato procurator­e pubblico il cui padre è amministra­tore della società della quale lei è direttrice amministra­tiva? È possibile che il timoniere di un partito non sapesse nulla? E se sapeva – intraveden­do, da politico navigato e scafato quale è, le polemiche e le dure critiche alla Lega anti-cadreghe divenuta Lega delle cadreghe, per giunta nell’imminenza delle elezioni comunali –, per quale motivo non è intervenut­o? Perché non ha interrotto l’operazione politicame­nte suicida? Se sapeva prima che le proposte di nomina di pp e giudice supplente d’Appello venissero formulate dalla commission­e al plenum del Gran Consiglio, come è possibile che non abbia colto l’inopportun­ità della sponsorizz­azione da parte di Aldi di quella candidatur­a? “Abbiamo commesso una leggerezza”, ripete il deputato e avvocato Alessandro Mazzoleni. Ma nel selezionar­e futuri magistrati, ribadiamo, le leggerezze non sono ammissibil­i. Ilmoviment­o di via Monte Boglia è in accelerata perdita di consensi. Teme per la tenuta a Lugano: teme una sconfitta nella Città in cui si giocano i destini a livello cantonale di buona parte dei partiti. I fratelli Giuliano e Attilio Bignasca ricordavan­o a più riprese che la Lega è uno stato d’animo. L’animo (sociale?) è nel frattempo svanito. È rimasto lo stato: quello di salute, assai precario, del movimento. A questo punto difficilme­nte le porte delle assemblee leghiste potranno restare chiuse a malumori interni e stampa.

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