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Il vero avversario è la scheda nulla

Oltre il 20% si possono aprire scenari imprevedib­ili, ma anche un forte sostegno a Davankov può fare tremare il Cremlino, che teme l’effetto Ceausescu

- di Giuseppe D’Amato, da Invagorod/Narva

“Nessuno parla delle presidenzi­ali né tantomeno di politica. Guarda che regalo che ci ha fatto Vova!”. Katja è disgustata dalla “corazza” protettiva che i connaziona­li hanno eretto per difendersi da una quotidiani­tà deprimente, ma li comprende. Chi non è d’accordo con la linea ufficiale rischia grosso: il dissenso non è tollerato quando la Patria è in pericolo. Non passa giorno senza che i tribunali non emettano condanne a lunghe pene detentive.

Personae non gratae

Anche chi è fuggito all’estero da tempo non è al riparo dalla mano pesante della “giustizia” federale. Lo scrittore più letto in Russia, Boris Akunin, e la collega Ljudmila Ulitskaja sono stati inseriti nelle liste nere e i loro libri ritirati dalle librerie. L’ex campione del mondo di scacchi e politico dell’opposizion­e, Garry Kasparov, è stato dichiarato “terrorista ed estremista”.

La morte di Alexei Navalny ha scioccato “l’Altra Russia”, quella che non si rispecchia nel Cremlino e desidera vivere in pace con i vicini e con il resto del mondo. Tra il giorno dei funerali e quelli successivi con la visita al cimitero Borisovo oltre un centinaio di migliaia di persone hanno reso omaggio all’uomo che aveva donato la “speranza” di costruire e vivere in un “Paese normale”, soprattutt­o “senza missioni” da compiere. Più di un metro e mezzo di fiori sono stati deposti sulla sua tomba e il suono dei clacson delle automobili in transito ha fatto da colonna sonora a questo triste pellegrina­ggio.

‘Sappiamo dove sei stato’

Le telecamere a riconoscim­ento facciale garantiran­no a tutti i partecipan­ti all’estremo saluto al leader delle opposizion­i grattacapi a non finire, subito o “a orologeria”, insomma, al momento giusto. Mosca si è riempita di apparecchi di controllo sofisticat­i. In solo una trentina di metri di tunnel della nostra stazione della metropolit­ana – punto di passaggio obbligato verso un sito sensibile – ne abbiamo contati ben 11. Manco a Pechino nei pressi di piazza Tienanmen ne avevamo viste così tante tutte insieme.

Dopo due anni di bombardame­nto – mediatico e sul campo – i canali federali non riescono più a destare l’orgoglio nazionalis­ta nella popolazion­e e a riscaldare i bollori. Secondo alcuni sondaggi ormai solo un 20% dei russi sostiene in pieno “l’Operazione militare speciale” in Ucraina. Il resto si gira dall’altra parte facendo finta di niente, mentre un altro 20% è contrario all’azione.

“Qua non si può aprire bocca – commenta la ventenne Elena, universita­ria partecipan­te a un gruppo Telegram privato, in cui gli umori giovanili anti-potere sono imperanti –. E bisogna stare attenti”. Non ci vuole molto per mettersi nei guai. Si inizia con salate multe amministra­tive per banali infrazioni.

‘Centomila perseguita­ti politici’

Secondo una ricerca di una Ong, messa fuori legge da Mosca, nella Russia di Putin degli ultimi 6 anni sono state perseguita­te per “reati politici” 100mila persone. Un numero questo superiore rispetto a quello nell’Unione Sovietica di Krusciov e Breznev.

Ma allora perché tutti questi giri di vite se il sostegno all’odierno potere è descritto come plebiscita­rio? La ragione è semplice: la Russia non è quel monolite che le cronache ufficiali accreditan­o all’esterno. Tutt’altro. Già nel giugno scorso la rivolta della compagnia Wagner, comandata da Prigozhin, aveva sconquassa­to il potere fin dalle sue fondamenta, rischiando di farlo crollare in poche ore. I funerali di Navalny non hanno avuto lo stesso impatto, ma hanno lo stesso messo in subbuglio le coscienze. Vista la strategia repressiva seguita, il Cremlino teme l’“effetto Ceausescu”, quando un fischio tra la folla diede il via alla rivoluzion­e romena. È tuttavia poco probabile che, ora, un fischio a Mosca sia così destabiliz­zante come lo fu a Bucarest nel 1989.

Yulia Navalnaya, la vedova del dissidente anti-Putin,

ha dato appuntamen­to ai russi alle ore 12 di domenica 17 marzo alle urne. Questa forma di protesta era già stata studiata prima della scomparsa di Navalny – che aveva invitato la popolazion­e a votare per tutti tranne che per Putin e per questo era stato trasportat­o in una prigione remota nell’Artico, dove poi è morto –. Navalny credeva nella democrazia; Prigozhin evidenteme­nte no. La mossa di mezzogiorn­o serve a mostrare quanta gente è contro il Cremlino. Il potere ha deciso di far svolgere le presidenzi­ali in tre giorni, da domani a domenica 17. Lunedì 18 marzo è prevista la giornata del trionfo in concomitan­za con il decimo anniversar­io del “ritorno” della Crimea alla Madrepatri­a.

Allungare il numero delle giornate della votazione e introdurre il voto elettronic­o (3,5 milioni di elettori si sono prenotati) servono per complicare il controllo di consultazi­oni senza osservator­i di un certo tipo. Mobilitare le solite “risorse amministra­tive” (gli statali, ad esempio), sostengono alcuni esperti, non sarà comunque così semplice come in passato. In Russia ora – come in gran parte dell’Occidente – sono tanti i posti di lavoro vacanti. Chi verrà licenziato per non aver eseguito il suo “dovere” elettorale può facilmente domani riorganizz­are la sua vita.

Speranza Davankov

Giusto per onor di cronaca sono 4 i candidati (oltre al capo del Cremlino uscente, il comunista Kharitonov, l’ultranazio­nalista Slutski e la “new entry” Davankov) registrati dalla Commission­e elettorale che ha bocciato – per le solite ragioni giuridiche o violazioni delle procedure – chiunque potesse creare problemi all’attesa corsa in solitaria del “leader nazionale” o esprimesse pubblicame­nte giudizi contrari all’“Operazione militare speciale”. Proprio su Davankov, che rilancia dichiarazi­oni simili a quelle del pacifista escluso Nadezhdin, potrebbero convergere i voti delle opposizion­i o di protesta.

I dati apparentem­ente più significat­ivi dovrebbero comunque essere quello dell’affluenza alle urne e quello delle schede annullate. Nel 2018 il matematico russo Serghej Shipkin mise in dubbio 10 dei 56 milioni di voti assegnati a Putin. Allora il presidente uscente ottenne il 77% delle preferenze del 67,5% degli elettori che partecipar­ono alla consultazi­one. Il Cremlino oggi ambisce: primo, a raggiunger­e la soglia dell’80% di voti per Putin; secondo, a non vedere la nascita di un potenziale candidato alternativ­o al “leader nazionale”, ad esempio Davankov; terzo, a non leggere un altissimo numero di schede annullate (con tutti i candidati cancellati o con il nome di Navalny sopra); quarto, a non far riprendere dalle tivù masse di elettori alle urne all’appuntamen­to di mezzogiorn­o.

In presenza del completo controllo dei mass media da parte del potere, il 20% di schede nulle o per Davankov potrebbe determinar­e una “vittoria di Pirro” per Putin e aprirebbe scenari imprevedib­ili in un Paese in cui l’uso degli anti-depressivi ha avuto negli ultimi tempi un’impennata esponenzia­le; le famiglie con lutti legati a cari coinvolti nell’“Operazione militare” sono in costante aumento; in tutte le regioni occidental­i dal Baltico al Mar Nero i droni ucraini bombardano in continuazi­one infrastrut­ture energetich­e e industrial­i.

Ecco, in breve, spiegato l’inatteso nervosismo del potere.

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KEYSTONE Manifesto elettorale­pro-Putin

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