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La famiglia afghana può restare in Svizzera

Il ricorso al Tribunale amministra­tivo federale contro la decisione della Sem è stato accolto. ‘Siamo felicissim­i, ora non dobbiamo più scappare’

- di Katiuscia Cidali

Persone costrette a fuggire dai loro Paesi d’origine e infine, dopo essersi integrate nel tessuto sociale elvetico, di nuovo costrette a ripartire vedendosi respinta la domanda di asilo, negato lo statuto di rifugiato. I loro ricorsi, cui talvolta si aggiungono petizioni lanciate da ticinesi che hanno a cuore il loro destino, spesso non portano a nulla, se non a un ineluttabi­le destino: l’allontanam­ento verso la prima nazione di registrazi­one, oppure un ritorno problemati­co in patria.

Negli ultimi dieci anni sulle nostre pagine vi abbiamo raccontato le storie di Yasin Rahmany, di Arlind Lokaj, di Bewar Omar. Giovani perfettame­nte integrati nella nostra regione, così determinat­i nel loro percorso da risultare talvolta i migliori a scuola. E che nonostante il sostegno mostrato dagli amici e dalla gente comune scesa in piazza in loro difesa, avevano dovuto abbandonar­e la Svizzera e rientrare in Iran, Kosovo, Iraq. Dove si sentivano estranei e minacciati. Storie con un finale tutt’altro che lieto.

Ma nella vicenda di cui abbiamo riferito lo scorso giugno, possiamo ora dire che un finale diverso è possibile. È la storia della famiglia Ebrahimi, scappata dall’Afghanista­n dove imperversa­va la guerra. Una situazione particolar­mente difficile per le donne. Genitori con due bambini fuggiti poi anche da varie altre nazioni fino a raggiunger­e la Croazia, dove si erano registrati. Dopodiché ancora un lungo percorso, anche a piedi, fino a Bellinzona, quartiere delle Semine.

Tremila firme

Quando li avevamo incontrati vivevano in uno stato di apprension­e: in attesa di una decisione. La Segreteria di Stato della migrazione (Sem) aveva infatti stabilito la non entrata nel merito della domanda d’asilo depositata nel gennaio 2021. Da qui l’intimazion­e a tornare in Croazia (primo Paese dell’area Schengen in cui erano stati registrati), dove durante la loro permanenza avevano vissuto episodi di violenza da parte della polizia. Tramite un legale, la famiglia aveva interposto ricorso al Tribunale amministra­tivo federale (Taf) contro la decisione della Sem. Lo scorso giugno era anche stata lanciata una petizione sottoscrit­ta da tremila persone. Petizione consegnata al Taf, come anche diverse lettere scritte da amici, conoscenti, compagni di scuola e insegnanti, membri delle società di basket dove i due figli avevano iniziato a giocare. La decisione tanto attesa è infine giunta il 15 gennaio: ricorso accolto. La famiglia ha quindi ottenuto il permesso di dimora B.

Un nuovo inizio a Lucerna

Tutti e quattro sono ora rifugiati riconosciu­ti, ai quali è concesso l’asilo. «Questa decisione ci ha reso felicissim­i. Finalmente non dobbiamo più scappare». Quando la sentiamo al telefono

Esmat Ebrahimi (31 anni) – mamma di Amir (13) e Mohammad( 9) e moglie di Gholam (38) – è raggiante. Ma la 31enne è entusiasta anche per un altro motivo: «Abbiamo appena firmato il contratto d’affitto per un appartamen­to». Da tre settimane la famiglia vive nel Canton Lucerna dove spera di avere più opportunit­à lavorative; in Ticino infatti i genitori non erano riusciti a trovare un impiego. Attualment­e risiedono in un centro per migranti a Emmen e vi rimarranno fino al 1° aprile quando potranno fare ingresso nella loro nuova abitazione. Anche la scelta di poter cambiare cantone non era scontata: «Avevamo presentato richiesta, che inizialmen­te ci era stata negata. Un giorno telefona però la nostra avvocata e mi comunica, stupita pure lei, che ci autorizzav­ano a recarci a Lucerna». Esmat ammette che i suoi figli erano inizialmen­te dispiaciut­i di dover lasciare il Ticino, dove si erano integrati bene; specialmen­te Bellinzona, dove si erano fatti degli amici. Ora i ragazzi stanno apprendend­o il tedesco, lingua che non conoscevan­o, nella scuola per rifugiati. Da aprile, quando la famiglia si sarà stabilita nella sua nuova abitazione, i ragazzi potranno frequentar­e la scuola pubblica.

Il cuore per il basket batte ad Arbedo

Entrambi appassiona­ti di pallacanes­tro, Amir (che in Ticino faceva parte della selezione) e Mohammad giocano già nella squadra lucernese locale. Ma il loro cuore batte ancora per il Basket club 79 Arbedo. «Torneremo per i tornei di fine anno, perché i miei figli ci tengono a partecipar­e», sottolinea Esmat. Quanto alla ricerca di un impiego, Gholam ha iniziato a svolgere alcuni lavori organizzat­i dal centro rifugiati di Emmen e sta cercando un’occupazion­e come piastrelli­sta o muratore (attività che aveva già svolto in Iran e Afghanista­n). Mentre Esmat (di formazione educatrice) vorrebbe fare l’animatrice con i bambini, ma sarebbe disposta anche a intraprend­ere una riqualific­a profession­ale per poter lavorare come assistente di studio medico o addetta alle cure. I figli sono ancora piccoli per pensare concretame­nte a una profession­e, ma il più grande sogna già di diventare insegnante di educazione fisica.

‘Il nostro grande grazie’

Le ultime parole di Esmat sono di riconoscen­za verso tutte le persone che in Ticino hanno sostenuto lei e la sua famiglia. «A tutti rivolgiamo il nostro grande grazie. La gente che ci ha accolto non solo ha assicurato un aiuto fondamenta­le per riuscire a superare le necessità quotidiane, ma ci ha anche donato tanta felicità. Puoi scriverlo questo?». Certo. Quelle come la loro sono storie di umanità, coraggio e solidariet­à che è doveroso raccontare. Anche, o soprattutt­o, quando sono a lieto fine.

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Al centro Esmat con i figli Amir, Mohammad e il marito Gholam

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