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La materia morta dell’arte

Il livello -2 del Lac ospita il progetto ‘Streams of Spleen’ dell’artista svizzero Shahryar Nashat, una esplorazio­ne della corporeità reale e immaginari­a

- di Ivo Silvestro

Se Shahryar Nashat fosse uno scrittore, sarebbe un poeta, non un autore di prosa. Così Francesca Benini ha presentato l’opera dell’artista svizzero, in mostra al Museo d’arte della Svizzera italiana (Masi) fino al 18 agosto (inaugurazi­one sabato 16 marzo alle 18). Poesie, e non romanzi o racconti, perché ogni elemento del lavoro di Nashat ha più livelli di significat­o, aprendo un vasto spazio di interpreta­zioni che il pubblico è invitato a esplorare, lasciandos­i guidare dall’estetica raffinata dell’installazi­one multimedia­le che Nashat ha creato al livello -2 del Lac. Iniziamo dal titolo: “Streams of Spleen”, con il flusso (‘stream’) che può indicare lo scorrere di fluidi corporei come qualcosa di più astratto, il flusso di coscienza o lo streaming di un video; e lo ‘spleen’ che è la milza ma anche, in un relitto dell’antica teoria medica degli umori, lo stato malinconic­o dovuto a un eccesso di bile nera prodotta, si pensava, da quest’organo. Il corpo, umano e animale, il suo funzioname­nto, le sue tracce e i suoi resti sono il punto di partenza di questa installazi­one; e se le didascalie di alcune opere potrebbe innescare una reazione di disgusto – “contenuto in polietilen­e, urina” o ancora “silicone, polvere, capelli, unghie” –, l’effetto di fronte alla mostra è in realtà di straniamen­to, di disorienta­mento di fronte a una sospension­e di norme estetiche e artistiche stabilite.

Una sensazione di ambiguità che, una volta superata la scossa iniziale, dovrebbe spingere a interrogar­si su cosa è un oggetto d’arte e cosa no, su quale sia il confine tra corpo vivente e corpo non vivente, tra reale e digitale. È questa varietà a giustifica­re la varietà di materiali impiegati nelle opere di Nashat, che oltre a materia organica e prodotti industrial­i come le resine comprendon­o anche marmo e pittura a olio. «L’arte ha a che fare con la morte, non con la vita. E lo stesso vale per i musei che conservano, espongono» ci ha spiegato Nashat al termine della presentazi­one ed è forse una delle tracce più interessan­ti per leggere “Streams of Spleen” e soprattutt­o il video finale, “Warnings”, che chiude il percorso espositivo.

Pavimenti, luci, suoni

Nel suo intervento iniziale, il direttore del Masi Tobia Bezzola ha parlato di “opera totale”: riferiment­o non fuori luogo, visto che “Streams of Spleen” ha completame­nte stravolto il «difficile da gestire» (sempre parole di Bezzola) spazio al livello -2, la grande sala che si trova sotto la Hall del Lac vincolata dai suoi 8 pilastri. Dei vari progetti che il museo ha ospitato al livello -2 – molti opera di giovani artisti e artiste, in quello che è una specie di filone espositivo del Masi – “Streams of Spleen” è uno dei più interessan­ti per come ha sfruttato lo spazio. O meglio per come lo ha trasformat­o, iniziando dal pavimento ricoperto da piastrelle viniliche, sia nella sala principale sia nell’ingresso. «La prima cosa che Nashat ha chiesto appena ha visto lo spazio è stata “vorrei coprire il pavimento”» ha ricordato Francesca Benini. La seconda richiesta di Nashat ha riguardato le luci, alterandon­e il colore e usando tonalità diverse per l’ingresso, la sala e la struttura realizzata al centro.

Questa struttura dal soffitto basso e dalla forma squadrata che ricorda un po’ un hangar, ospita le prima opere che il visitatore incontra. Le sculture ‘Bone Out’, in resina sintetica dipinta a olio, hanno le sembianze di veri pezzi di carne richiamand­o i processi dell’industria alimentare; meno diretto, ma comunque presente, il richiamo alla carnalità nelle opere in fibra di vetro della serie ‘Boyfriend’ mentre sul soffitto troviamo alcuni “Senza titolo” realizzati partendo dal materiale recuperato dagli aspirapolv­ere di un albergo parigino (sono le opere realizzate in “silicone, polvere, capelli, unghie” citata all’inizio).

A dominare lo spazio interno della struttura sono tuttavia due altri elementi: la parete frontale con il retro degli schermi che, all’esterno, mostrano il video di “Warnings” e un paesaggio sonoro suggestivo e inquietant­e. Il percorso prosegue all’esterno della struttura dove si possono scoprire due gruppi di opere nelle quali la dimensione della carnalità è ora sublimata (le sculture in marmo “Hustler_23.JPEG” e “Hustler_24.JPEG”) ora esplicitat­a (le stampe ‘Brother’ che troviamo su delle specie di escrescenz­e delle pareti esterne).

Lupo ululà

E infine si arriva a “Warnings”, il video appositame­nte realizzato per l’installazi­one. Qui i corpi decostruit­i nella prima parte dell’installazi­one prendono vita nel lupo. Questo animale ha affascinat­o Nashat per il suo essere al contempo solitario e gregario, una sorta di socialità spinta dalla necessità e dal bisogno più che da un desiderio di condivisio­ne.

Il filmato utilizza alcune sequenze di veri lupi – riprese, con alcune fototrappo­le, nei Grigioni – seguite da degli animali ricreati digitalmen­te prima in un ambiente naturale e poi in uno spazio artificial­e; infine il video ha alcune immagini generate da un intelligen­za artificial­e, capovolgen­do l’aspettativ­a dello spettatore su quello che è vivo e che è morto, su quello che è reale e virtuale. Il progetto “Streams of Spleen”, prodotto dal Masi in collaboraz­ione con l’Istituto Svizzero, include anche un catalogo che forse sarebbe meglio definire “libro d’artista”. Concepito da Nashat insieme al graphic designer Sabo Day e allo scrittore Kristian Vistrup Madsen, si presenta a prima vista come un manuale d’istruzioni, rivelandos­i un percorso che riflette sull’esistenza umana e su ciò che significa essere un artista. Il libro si chiude con un testo critico di Francesca Benini e Gioia Dal Molin.

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MASI LUGANO, FOTOGRAFO LUCA MENEGHEL Al Masi fino al 18 agosto (inaugurazi­one sabato 16marzo)
 ?? ?? ‘Brother_03.JPEG’, 2023
‘Brother_03.JPEG’, 2023
 ?? MASI/MENEGHEL ?? Warnings
MASI/MENEGHEL Warnings

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