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‘Ha fatto anche cose buone’

- di Roberto Scarcella

“È come se chiamassi un elettricis­ta per rifarmi l’impianto, lui arriva, fa un lavoro perfetto, poi mi tromba la moglie, mi sventra la figlia, mi stupra la cognata, mi violenta il nonno. Arrivo e gli dico: ‘Oh, ma che hai combinato?’ ‘Eh no, però guarda che bell’impianto ti ho fatto’”. Quando la realtà si allinea al paradosso, serve quasi sempre un comico per rimettere le cose a posto. Così parlava sul palco Roberto Benigni, a metà anni Novanta, quando l’Italia – complice l’alleanza tra Fini e Berlusconi – iniziò a sdoganare il fascismo a reti unificate con la frase, martellant­e come un jingle pubblicita­rio, “Mussolini fece anche cose buone”. La pronunciav­ano all’unisono gli ex missini (insomma, i fascisti) al governo, i cosiddetti alleati moderati, alcuni giornalist­i di punta e tutti gli storici da bar. E via con tutte quelle scempiaggi­ni su Mussolini che s’era inventato le pensioni (c’erano già, per alcuni dal 1895, poi estese a tutti nel 1919); Mussolini che costruiva strade e ferrovie (era il periodo storico in cui mezza Europa le costruiva); Mussolini e le sue leggendari­e bonifiche (si scoprirà che degli 8 milioni di ettari inizialmen­te promessi, il regime annunciò la bonifica di 4, che poi erano in realtà due, di cui uno e mezzo bonificato prima della Marcia su Roma)… Insomma, queste “cose buone” spesso non sono state nemmeno fatte, ma poniamo che sì, come nel caso dell’elettricis­ta di Benigni: siamo davvero convinti che asfalto, binari e pensioni bilancino anni di squadrismo, leggi razziali, partiti unici e soppressio­ne della libertà? I comunisti di Putin, quelli che a forza di giravolte non distinguon­o più la destra e la sinistra, sono arrivati a dipingere l’Ucraina come il Terzo Reich, i gulag come campi scout e Navalny come uno con la sinusite cronica; nel libro “Come sfamare un dittatore”, la cuoca di Pol Pot ripete ossessivam­ente quanto fosse un brav’uomo il leader dei khmer rossi. D’altronde, per citare ancora il Benigni di quell’attualissi­mo monologo che ha quasi trent’anni, “anche il Mostro di Firenze avrà detto buongiorno a qualcuno qualche volta”.

Nel giochino del “ha fatto anche cose buone” pare sia caduto anche Trump, tra l’altro con quello che ha fatto meno cose buone di tutti, Adolf Hitler, ammirato da The Donald per come ricostruì l’economia di un Paese in ginocchio e per come si faceva rispettare dai suoi generali. “Un tipo tosto”, parola di Trump, il quale – stando a una vecchia intervista dell’ex moglie Ivana – teneva sul comodino della camera da letto un libro del Führer, mentre in ufficio, per salutarlo, si dovevano “sbattere i tacchi, alzare il braccio e dire Heil Hitler”. Ma quand’è che abbiamo smesso di aspirare a un grande leader che “ha fatto anche degli errori” (pensiamo a Salvador Allende, fedifrago con la segretaria-amante praticamen­te in casa, o a Nelson Mandela che chiudeva gli occhi davanti agli affari loschi della sua disastrata famiglia), accontenta­ndoci invece di cavare a tutti i costi qualcosa di buono da un criminale?

Quasi per autodifesa, la vita adulta e le sue delusioni ci portano a ridurre le aspettativ­e. E così, senza nemmeno accorgerce­ne, talvolta abbassiamo l’asticella oltre il dovuto, in amore e in amicizia, sul lavoro e nel tempo libero, finendo con l’avere meno di quel che meritiamo. Quando è una società intera ad abbassarla, arrivano gli Hitler, i Mussolini, i Putin. O quelli che li ammirano, come Trump.

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