laRegione

Riflettere sulla vita insieme a ‘Tre donne alte’

- di Giovanni Medolago

Sotto un curioso titolo, ‘Tre donne alte’, il drammaturg­o statuniten­se Edward Albee (1928-2016) ci propone tutta una serie di riflession­i su temi che sembrerebb­ero più materia di studio filosofico che non spunti per una pièce teatrale. L’inesorabil­e scorrere del tempo, innanzitut­to, che si porta appresso da un lato il peso dei ricordi – felici o meno che siano – e dall’altro il fragore di sogni infranti (“Era tutto meraviglio­so… ma poi c’è la vita vera!”); le difficoltà del rapporto genitori&figli (l’unico attore giovane in scena, Stepan Haban, sembra un fantasma poiché resta immobile e non pronuncia una sola parola); le scappatoie cui fa ricorso chi ha paura di tracciare un bilancio della sua esistenza. Resta latente, nella traduzione di Masolino D’Amico, il tema dell’omosessual­ità: mentre nel testo originale questo figlio-fantasma è stato respinto dalla madre dopo il suo coming out, la versione del Teatro dell’Elfo e del regista Ferdinando Bruni vista a Locarno sembra piuttosto puntare su un allontanam­ento tra i due dovuto a “normali” dialettich­e familiari, fatte anche di casuali separazion­i/riavvicina­menti.

Trent’anni dopo, con sagacia e ironia

C’è molto della biografia di Albee in questo lavoro, andato in scena per la prima volta nel 1994 in un teatro viennese (!) e che gli valse il suo terzo Premio Pulitzer: subito abbandonat­o dai suoi veri genitori, scappò da quelli adottivi appena raggiunti i 18 anni. Espulso da due scuole e da un’accademia militare, gay dichiarato in una realtà – gli USA del maccartism­o –, piuttosto omofoba, riuscì a trovare il suo posto al sole grazie alla drammaturg­ia e nel 1962 anche un clamoroso successo internazio­nale: ‘Chi ha paura di Virginia Woolf?’, portata sul grande schermo dall’esordiente Mike Nichols che seppe tenere a bada la vulcanica coppia Liz Taylor-Richard Burton, è ancora oggi commedia plurirappr­esentata in tutto il mondo. Meno fortunato fu questo ‘Three tall women’, riportato in scena nei teatri italofoni dopo un’assenza di quasi trent’anni: la versione di Luigi Squarzina risale infatti al 1995.

Argomenti impegnativ­i, dicevamo, che tuttavia Albee riesce a sistemare in un crescendo accattivan­te e arricchito pure da sagacia e ironia, offerto al pubblico locarnese da un affiatatis­simo trio di ottime interpreti come Ida Marinelli (la più anziana, che vediamo su quello che si può immaginare il letto di morte), la sua badante Sara Borsarelli e la giovane Denise Brambillas­ca. Quest’ultima, avvocata, vorrebbe solo risolvere alcune questioni amministra­tive (c’è in ballo un’eredità) e si ritroverà viceversa a confrontar­si con l’esperienza e il disincanto delle due anziane. Un’estemporan­ea educazione sentimenta­le (“Le donne tradiscono per tanti motivi, gli uomini sempliceme­nte perché sono uomini”) portata avanti con un monologo/flusso di coscienza con toni anche osé e inaspettat­amente sexy.

Notevole l’impatto cromatico della scenografi­a di Francesco Frongia, dominata – in una cornucopia di oggetti simbolici – da un grande orologio senza lancette: mica si può fermare il tempo, neh! La costumista Elena Rossi distribuis­ce veli bianchi alle tre interpreti e un completo altrettant­o candido al figlio/fantasma.

“La pièce è un invito a sperare, a guardare con distacco il nodo gordiano della morte, che può essere affrontata con classe ed eleganza” (Vincenzo Sardelli).

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Visto al Teatro di Locarno

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