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Osi al Lac, con il ricordo di Furtwängle­r a Lugano

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di Enrico Colombo

Il 15 maggio 1954 al Teatro Kursaal di Lugano suonarono i Berliner Philharmon­iker diretti da Wilhelm Furtwängle­r (1886-1954). In programma c’erano il poema sinfonico ‘Till Eulenspieg­el’ di Richard Strauss, il concerto in re minore K 466 di Mozart e la Sesta Sinfonia, ‘la Pastorale’ di Beethoven. Fui tra il pubblico e il giorno dopo acquistai il mio primo Lp, che conservo quasi consumato dai molti ascolti: la Sesta di Beethoven con i Wiener Philharmon­iker diretti da Furtwängle­r, in una mitica registrazi­one del 1952. Furtwängle­r morì sei mesi dopo, mentre Arturo Toscanini (1867-1957) poco più di due anni dopo. Erano due direttori carismatic­i, due personalit­à contrappos­te umanamente e musicalmen­te, almeno nella percezione dei melomani di settant’anni fa. Furtwängle­r, compromess­o col nazismo, convinto che la partitura sia tutta da interpreta­re; Toscanini, fiero oppositore del fascismo, convinto che la partitura va seguita alla lettera, nonostante un rimprovero ricevuto in gioventù da Giuseppe Verdi: “Ma ragazzo, sulla partitura non si può scrivere tutto!”.

Nel 1992 uscì su Cd la registrazi­one del concerto del 1954 fatta dalla Radio della Svizzera italiana. L’ho riascoltat­o due giorni fa e l’ho confrontat­o con la registrazi­one della Pastorale di Beethoven fatta nel 1997 da David Zinman con l’Orchestra della Tonhalle di Zurigo. Vi ho trovato differenze significat­ive: per i cinque tempi della stessa Sinfonia Furtwängle­r supera i 46 minuti mentre Zinman non arriva ai 40. La prassi esecutiva evolve nel tempo e con essa anche il gusto dell’ascoltator­e: una sacrosanta necessità. “Iota unum non praeteribi­t” (non si cambi una virgola) è una regola etica bigotta, non appropriat­a al mondo dell’arte.

Questa lunga premessa è a freno della tentazione di superlativ­i per la strepitosa interpreta­zione della Sesta di Beethoven che la nostra piccola grande Orchestra ci ha offerto giovedì sotto la direzione di David Afkham. Una flessibili­tà deliziosa nella condotta dei tempi, una pulsione ritmica, che ha legato in un unico respiro esecutori e ascoltator­i. Non so spiegare l’applauso partito alla fine dell’‘Allegro ma non troppo’ iniziale, non conforme agli usi e ai costumi del nostro tempo, ma sottolineo il lungo silenzio che è seguito allo spegniment­o dell’ultima nota, poi l’applauso calorosiss­imo, ma senza ovazioni da stadio e l’assenza di ascoltator­i preoccupat­i di non perdere il treno che lasciano la sala prima che gli orchestral­i si accingano a lasciare il palco.

Un grande Ludwig van Beethoven è stato preceduto da un modesto Robert Schumann del Concerto per violoncell­o e orchestra affidato al violoncell­ista Truls Mørk, che l’ha in repertorio con evidente piacere, forse perché consentito dal timbro limpido, luminoso del suo violoncell­o. David Afkham l’ha assecondat­o chiedendo all’Orchestra una partecipaz­ione discreta, che lasciasse il solista in evidenza.

Il pubblico e gli orchestral­i tutti hanno applaudito con calore Mørk, che ha concesso il dovuto bis: un Bach che mi è sembrato un po’ fuori contesto nel meriggio romantico di Schumann.

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OSI / F. FRATONI Truls Mørk al violoncell­o, giovedì scorso

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