Troyes, quando il Medioevo… torna
Chi non è mai stato a Troyes resterà ammaliato dalla sorprendente bellezza di una città che il turismo non ha ancora totalmente invaso. Nel vecchio centro a forma di tappo, quello che ricopre più o meno la superficie del castrum romano, quasi tutte le case sono a graticcio, costruzioni dalle tonalità pastello beige, rosa, bruno, ocra, con le loro tradizionali intelaiature di legno in verticale, orizzontale od oblique. Lo splendore che ci appare oggi è il risultato di un’intelligente opera di massiccio restauro effettuato dalla municipalità che ha ordinato la rimozione degli intonaci applicati a partire dal Settecento. Nella Troyes medievale, due volte all’anno le fiere della Champagne attiravano mercanti fiamminghi, italiani, inglesi, spagnoli eccetera. Rame da Cordova, aringhe dalla Scandinavia, lana dalle Fiandre, seta e spezie provenienti dall’Oriente, trasportati dai mercanti italiani. Un gigantesco mercato che durava otto settimane. Dunque 16 settimane in tutto: per quattro mesi all’anno l’Europa commerciale si ritrovava qui. Tra le ragioni di questa centralità nell’Europa del Medioevo vi è questa: i conti della Champagne dell’XI e XII sec. ebbero la brillante idea di garantire loro protezione attraverso i
conduits des foires e la polizia dei mercati che accompagnavano e sorvegliavano chi viaggiava, garantivano la correttezza nelle transazioni finanziarie, condizione indispensabile per attirare commercianti e banchieri. La presenza di alcune splendide chiese gotiche testimonia il ruolo crescente che assunse con gli anni. Qui fu creato l’Ordine dei Templari (poi cancellato nel sangue da Re Filippo IV il Bello) che avrebbe dovuto proteggere la Cristianità in Palestina: fu il Concilio di Troyes nel 1129, in presenza di Bernardo di Chiaravalle, il grande monaco cistercense, ad approvare la regola di questi monaci-soldati. L’arte delle vetrate, a cui aprì la strada la stessa architettura gotica affamata di luce, è oggi forse la cifra più straordinaria di Troyes. È un Medioevo luminoso, colorato, quello promosso dai maîtres verriers e dalle loro botteghe. Nulla più della fabbricazione delle vetrate ci ricorda quel lavoro di squadra che pian piano, con il Rinascimento più individualista, tende a scomparire nelle brume della Storia. La lista delle chiese di grande pregio è lunga: la nostra preferita è quella di Santa Maddalena. L’incipit della visita è singolare, forse segno dei tempi. Una guida chiede ai visitatori se non siano urtati dal fatto di entrare in un luogo religioso. Il politically correct si impone a volte in tutto il suo aspetto grottesco. Comunque nessuno alza la mano. Per fortuna. È forse entrando che molti hanno scoperto qualcosa di straordinario, un elemento architettonico quasi totalmente scomparso dalle chiese. Si chiama jubé. Termine che proviene dal detto latino “Jube, domine, me benedicere” , volete, padre, benedirmi? È una struttura in pietra bianca di Borgogna, raffinatissima, tipica del gotico fiammeggiante che separa il coro (spazio sacro riservato al clero) dai fedeli che stanno nella navata. Uscendo dalla chiesa, voltando a sinistra ci immergiamo in pieno Medioevo. Sì, perché qui le case a graticcio sono identiche a quelle che esistevano nell’Età di mezzo. Tra le invisibili, ma eclatanti differenze con la nostra epoca, sono utili a ricordare gli odori e l’insalubrità. Ci immaginiamo una Troyes dove non esistevano ancora gabinetti e fognature, i vasi da notte venivano svuotati direttamente dalle finestre (previa messa in guardia “gare à l’eau”) finivano così in strada e nei vicoli (o sulla testa di qualche malcapitato), in genere percorsi da canali di scolo dove si rischiava di mettere i propri piedi se si incrociava un benestante che aveva diritto di camminare nella parte più elevata della strada concava. Anche in questo caso un’espressione in uso ci ricorda il Medioevo: “Tenir le haut du pavé”, cioè appartenere all’élite sociale. Come dire che le ingiustizie sociali e i soprusi erano “monnaie courante”.