laRegione

L’apoteosi putiniana

- di Roberto Antonini

Ci congediamo subito dalla ricerca della verità: nessun dato elettorale in Russia è verificabi­le. Dal cilindro i maghi del Cremlino hanno estratto qualcosa che supera addirittur­a l’atteso 80/80, partecipaz­ione/voti per il despota. Livelli plebiscita­ri, esagerati, ma comunque un po’ sotto il livello di Stalin nel 1937 (99,30%). L’operazione elettorale speciale doveva garantire conferme, rassicurar­e una popolazion­e stanca e passiva, celebrare questo 71enne dall’intimo sopraffino cinismo, offrendogl­i una sorta di perennità politica: altri sei anni e poi sei ancora, sta scritto nella riforma costituzio­nale del 2020. Costituzio­ne e copione rispettati, ci mancava anche che qualcuno osasse negare al Capo il tripudio.

Al potere da 24 anni, ci potrà rimanere per altri 12: il primato del Baffone (31 anni) ormai vacilla. Mentre l’Ucraina orientale è inghiottit­a nel frastuono di un’interminab­ile notte lunga già due anni, a Mosca la montagna di morti ammazzati e di macerie al fronte non turba il sonno della nomenclatu­ra: l’apoteosi putiniana è l’incontro tra un’esaltazion­e patriottar­da, una consumata paranoia anti-occidental­e, un’ideologia slavofila limitrofa del fascismo, l’affermazio­ne di un disprezzo per la libertà e la vita umana che galleggia sereno e incontrast­ato sulla superficie del rovinoso fiume degli eventi. Decapitata a colpi di polonio, novitchok, torture, martellate, pistoletta­te, purghe (nel manuale d’uso del Fsb – ex Kgb – doveva esserci anche l’aereo di Prigozin esploso in volo), l’opposizion­e ha potuto timidament­e esporsi, sotto lo sguardo intimidato­rio di polizia e militari, presentand­osi ai seggi ieri a mezzogiorn­o in punto, facendo sempliceme­nte la fila, rovinando le schede o votando per altri candidati. L’iniziativa, promossa da Yulia Navalnya, vedova dell’oppositore martire morto nel gulag, sembra aver riscosso un certo successo consideran­do il contesto: il nuovo articolo 141 del Codice Penale prevede condanne fino a 8 anni per chi interferis­ce nel processo elettorale.

Non fa eccezione nel blindato rituale elettorale in salsa russa il risultato delle comparse tutte rigorosame­nte proguerra (un comunista, un ultranazio­nalista, un businessma­n): hanno ottenuto quanto basta, ma non di più, per dare parvenza di credibilit­à alla messinscen­a. Basso profilo dunque. Memori forse di quanto successe a Pavel Grudinin nella scorsa tornata elettorale: paperone comunista col conto in Svizzera, si candidò e osò sfiorare il 12% delle preferenze.

In men che non si dica perse soldi, azienda e scomparve dalla vita politica. “È una pagliaccia­ta: né la partecipaz­ione, né chi sarà sul secondo gradino del podio hanno importanza” ha commentato Tatiana Kastoueva-Jean direttrice del Centro Russia/Eurasia di Parigi. Messi al bando dalla commission­e elettorale i due candidati pacifisti, la reale consistenz­a dei sentimenti anti-putiniani nella popolazion­e rimane indecifrab­ile. È verosimile che il sostegno passivo o attivo per l’autocrate rimanga comunque abbastanza diffuso nel Paese. Una “bad news” per la pace e – con l’eccezione dei tanti cavalli di Troia di estrema destra e di qualche (poco) rosso-(tanto) bruno con in saccoccia il vecchio kit ideologico da Guerra fredda – per un Occidente che si sente minacciato e costretto a riavviare a pieno regime la grande macchina dell’industria bellica.

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