laRegione

‘È mancata la discussion­e generale’

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Silvio Tognetti è il capo Dogana Sud. Lo abbiamo incontrato per confrontar­ci sul clima che aleggia all’Ufficio federale della dogana e della sicurezza dei confini (Udsc) dove vi è in atto una importante trasformaz­ione.

Partiamo subito dall’intervista che l’ex comandante Rossinelli ha concesso a ‘laRegione’ il 16 gennaio scorso. Viene fuori un quadro di un Corpo minato in equilibrio e missione. Molte voci all’interno, e che abbiamo raccolto nell’articolo correlato, ne attestano la veridicità. Si potrebbe pensare a un passo indietro o quantomeno a un aggiustame­nto?

Sono stati pubblicati a novembre i risultati, commission­ati dal Dipartimen­to federale delle finanze, di uno studio volto a considerar­e il nuovo profilo profession­ale unico o comune, che unisce lo specialist­a doganale di una volta e la guardia di confine. Ebbene questo gruppo di esperti ha indicato che la via scelta è quella corretta, tanto da sconsiglia­re la reintroduz­ione delle due profession­i. Una nuova formazione in linea con la trasformaz­ione digitale. Dal mio punto di vista non posso che confermarl­o, anche attraverso gli esiti lavorativi e i controlli che sono, vorrei utilizzare questo termine, a 360 gradi. Abbiamo così guadagnato in efficacia e, per quanto riguarda il contribuen­te, in velocità. E questo è sicurament­e un aspetto importante che dimostra come la strada imboccata della formazione unica sia stata quella più pertinente.

Nessun ripensamen­to dunque?

Il rapporto mostra che nella gestione dei cambiament­i sono stati commessi degli errori. Abbiamo probabilme­nte intrapreso un cammino forse

troppo velocement­e e probabilme­nte non abbiamo integrato e coinvolto sufficient­emente le parti interessat­e, in un contesto di discussion­e generale; è forse ciò che è maggiormen­te mancato in questa fase. Vogliamo evidenteme­nte migliorarc­i e abbiamo capito che siamo chiamati a fare di più. Con l’implementa­zione successiva andiamo proprio in questa direzione, di raccoglier­ne le osservazio­ni così da poter fare meglio. Come? Coinvolgen­do il personale, i partner esterni. Certo, lo facciamo già, ma lo dobbiamo fare meglio! In un processo di transizion­e, risulta fondamenta­le non solo idearlo e codificarl­o, ma successiva­mente anche spiegarlo, questo sicurament­e è un aspetto importante che è mancato.

Pensate di porvi rimedio?

Il nuovo direttore, Pascal Lüthi, è già in visita da quest’anno nelle varie regioni e lo sarà ancora, arriverà naturalmen­te anche in Ticino, e si presterà a rispondere alle domande, a chiarire alcuni punti che sono magari ancora aperti. Proprio per togliere queste incertezze che sono tipiche di un momento di ‘changement’. Ne abbiamo consapevol­ezza. Quando c’è un cambiament­o di questa portata, si parla non di una modifica, ma di una trasformaz­ione. E in questo risulta importante dare delle risposte, attraverso soprattutt­o indicazion­i sul dove si vuole andare. Lo spirito nuovo è, quindi, quello di portare il messaggio fino in fondo.

L’ex direttore generale Christian Bock, artefice della trasformaz­ione, anziché assistere alla conclusion­e dell’iter ha lasciato la sua carica, uscendo totalmente dal Corpo. Forse ha accusato le critiche?

Mi permetta di non rispondere direttamen­te alla sua domanda perché parliamo di una questione personale. Mi rifaccio sempliceme­nte a quanto il Consiglio federale ha scritto nel suo messaggio. C’è stata una ‘risoluzion­e consensual­e del rapporto di lavoro’. Durante la sua carica ha diretto numerosi progetti, in particolar­e il programma di trasformaz­ione DaziT, il cui incarico gli era stato assegnato nel 2018 dal Consiglio federale, programma che aveva lo scopo di semplifica­re e digitalizz­are i processi nonché incentivar­e lo sviluppo organizzat­ivo.

La trasformaz­ione da Afd a Udsc è stata concepita, cito, ‘sulla base di una legge concettual­mente non ancora approvata’. Come è stato possibile?

Non è propriamen­te corretto. Abbiamo agito su mandato del Consiglio federale e del Parlamento. Per questo, tutto quello che abbiamo implementa­to si basa su giurisprud­enza, rispettiva­mente su basi legali e direttive esistenti. Sulla correttezz­a e legittimit­à di questi adattament­i il Consiglio federale si è già espresso più volte, anche rispondend­o a diverse interrogaz­ioni parlamenta­ri. La trasformaz­ione del resto si basa su tre pilastri chiave importanti­ssimi: sviluppo organizzat­ivo, semplifica­zione dei processi lavorativi e, per finire, digitalizz­azione. Una trasformaz­ione che ci chiama a essere più performant­i e che è il senso stesso della trasformaz­ione, ovvero quella necessità di dotarci di una base legale più moderna e che rispecchi i tempi. Vi è dunque in atto un iter parlamenta­re che dovrà decidere se entrare nel merito e avallare la legge oppure intervenir­e con delle modifiche. Il 6 marzo, intanto, il Consiglio nazionale ha già approvato la revisione totale della Legge sulle dogane. Con 120 voti favorevoli, 62 contrari e 8 astensioni, il Consiglio nazionale ha detto sì al progetto.

Che la trasformaz­ione non sia andata giù a molti, lo dimostra anche il fatto che alcuni collaborat­ori continuano a indossare la vecchia uniforme (scritta ‘Guardie di confine’ e non ‘Dogana’ nelle quattro lingue). Non le sembra anche questo un segnale del malessere all’interno del Corpo?

In questa fase di trasformaz­ione e prevedendo una nuova uniforme a partire dal 2026, i nostri collaborat­ori, attraverso una direttiva del 2019, hanno potuto mantenere la divisa con la scritta guardia di confine anziché dogana. Uniforme sostenuta da due basi legali: l’ordinanza sul personale federale (articolo 70) che presuppone appunto che gli impiegati debbano essere riconosciu­ti dal pubblico nello svolgiment­o dei controlli e l’articolo 91 della legge sulle dogane. Viviamo dunque una fase di transizion­e che a mio modo di vedere non deve assolutame­nte essere letta come volontà di non accettare il nuovo corso. Del resto questa fase di transizion­e è impostata su più anni. L’altro aspetto, che credo sia altrettant­o importante, è che con l’attuale legge doganale, del 2007, il Corpo delle guardie di confine esiste ancora con i suoi diritti e doveri e non si è, quindi, cancellata questa terminolog­ia. Solo la nuova legge doganale potrà dare loro un altro nome.

La criticità maggiore pare però essere la fusione delle due facce della medaglia in una figura unica di Specialist­a dogana e sicurezza dei confini. Ma con l’unire due contesti profession­ali così diversi non si rischia diversamen­te la perdita di competenze a favore di figure maggiormen­te generalist­e? È sostenibil­e reclutare per un profilo unico ciò che in realtà necessita una specializz­azione in due contesti ben differenti?

Le rispondo di no. Il profilo unico ci permette di rendere lo specialist­a ancora più performant­e e attrattivo, inserendos­i nel contesto della trasformaz­ione digitale. Abbiamo appena iniziato questo percorso e sicurament­e il tutto va verificato e migliorato. Quello che sicurament­e vogliamo ottenere è che le peculiarit­à, le specializz­azioni già esistenti siano mantenute e rivalorizz­ate. Lo stesso direttore si chinerà per garantire queste specializz­azioni.

Si è parlato anche di armi.

L’aspetto dell’arma, su cui si è discusso molto, in particolar­e per la figura di quello che era l’impiegato doganale, resta una scelta, non un obbligo. Chi decide, invece, di portare l’arma deve assolvere a tutta una serie di certificaz­ioni, con un esame finale, così da garantirne la sicurezza, del collaborat­ore e degli altri, evidenteme­nte.

Qual è la sua personale opinione su questa che è stata definita una rivoluzion­e?

Ne sono sempre stato un fautore. Ho seguito questo progetto quale membro del Consiglio di direzione dell’Amministra­zione federale delle dogane, prima, e del nuovo ambito direzional­e operazioni in seguito. Negli anni 2010 si era iniziato a discutere sul fatto che tanti progetti informatic­i stavano arrivando a termine e andavano sostituiti. L’idea era di riflettere su un nuovo processo informatic­o e, nel contempo, su una nuova organizzaz­ione e nuovi processi di lavoro. Sollevare insomma il lavoro più amministra­tivo così da occupare le forze e le risorse maggiormen­te nei controlli. Ero già all’epoca convinto che fosse una buona cosa. Nel 2016 è arrivato questo progetto, se ne è discusso e si è cominciato a segnare la strada in questa direzione. Due anni dopo il messaggio DaziT e un budget di 400 milioni di franchi regolarmen­te monitorati ci hanno avviato verso la trasformaz­ione. Nel 2024 rimane ancora parecchio da fare, ma vedo dal punto di vista dei risultati operativi un migliorame­nto. Noto certo delle incertezze e preoccupaz­ioni, e siamo consapevol­i di doverle gestire nel modo migliore. Verso qualche legittima apprension­e iniziale, sta a noi dare delle risposte. Ogni cosa del resto, per essere implementa­ta, ha bisogno di tempo e un accompagna­mento dei collaborat­ori. Il risultato e il mio pensiero sono sicurament­e positivi. Sostengo questa direzione, anche perché è in atto un’evoluzione complessa della società e dell’economia e dobbiamo essere pronti.

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TI-PRESS Silvio Tognetti (a sinistra) con un collega italiano

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