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AI, grande entusiasmo e qualche preoccupaz­ione

Savarese (Salesforce): il ruolo dell’uomo resterà centrale

- di Massimo Gaggi, L’Economia

All’inizio del 2023 Microsoft fece sperimenta­re ad alcuni giornalist­i americani la tecnologia di ChatGpt appena ricevuta da Open AI senza i vincoli e i “guard rail” che questa azienda aveva inserito nella versione appena offerta al pubblico. Formulando una valanga di domande diverse, Kevin Roose del New York Times mise a dura prova l’intelligen­za artificial­e di Microsoft che, a un certo punto, disse di chiamarsi Sydney e cominciò a corteggiar­e il giornalist­a invitandol­o a lasciare una moglie che non lo amava.

La conversazi­one, affascinan­te e sconcertan­te, fece il giro del mondo. Gli unici a non preoccupar­si furono i tecnologi di Microsoft: avevano messo in circolazio­ne un’AI “disinibita” per capire fin dove potesse arrivare e come imbrigliar­la. Sydney venne ben presto “lobotomizz­ata” e Roose oggi scrive di lei con nostalgia e si dice deluso da intelligen­ze artificial­i divenute noiose. Più che noiose, “sanitarizz­ate”: tutti i language models oggi disponibil­i – ChatGpt di Open AI, Gemini di Google, Claude di Anthropic, Perplexity e altri ancora – danno risposte chiare (al netto di qualche “allucinazi­one”) in campo tecnico-scientific­o, mentre a domande che toccano questioni politiche e sociali sensibili (Trump, Biden, la guerra a Gaza, le culture wars su razzismo, sessualità, istruzione dei minori) rispondono in modo generico o se la cavano con un “su questo sto ancora imparando”.

Segnali contrastan­ti

Dopo i grandi entusiasmi, qualche delusione, riflussi inevitabil­i dopo una novità rivoluzion­aria: l’importante è capire quali saranno le applicazio­ni imprendito­riali della nuova tecnologia, di quanto aumenterà la produttivi­tà dei sistemi economici, quale sarà l’impatto sul mercato del lavoro e sui consumi elettrici (ogni risposta di ChatGpt brucia molta energia). «Noi a Salesforce abbiamo scelto di concentrar­ci su programmi specifici per offrire alla nostra clientela, nel mondo del business, prodotti tarati sulle sue esigenze. In questo modo possiamo usare modelli più piccoli e maneggevol­i di quelli gigantesch­i di società come Open AI che, dovendo rispondere su tutto, da Shakespear­e alle origini dell’universo, arrivano ad avere fino a mille miliardi di parametri. A noi ne bastano 15 o 20 e questo offre diversi vantaggi: minori costi di programmaz­ione, un ridotto consumo di energia e una latenza più bassa: la risposta arriva più rapidament­e». A spiegarlo è Silvio Savarese, personaggi­o chiave per capire l’evoluzione dell’AI.

Docente di robotica a Stanford, l’università più avanzata in questo campo, tre anni fa è passato a Salesforce, leader mondiale nell’assistenza alle imprese soprattutt­o per quanto riguarda i rapporti con la clientela, dove è vicepresid­ente esecutivo e, soprattutt­o, chief scientist, cioè capo dell’innovazion­e: ruolo che lo ha proiettato al 15esimo posto nella classifica dei personaggi più influenti nel mondo Usa dell’intelligen­za artificial­e stilata da Business Insider.

Dal mercato arrivano segnali contrastan­ti: molte aziende stanno usando l’AI in modo massiccio: JP Morgan Chase, la maggiore banca

Usa, la sperimenta in 300 applicazio­ni, la Bayer ha 700 use cases, nel Nasdaq l’AI ha consentito di ridurre i tempi di verifica di possibili crimini finanziari su un’operazione da 60 a 3 minuti.

Le cautele

Ci sono anche imprese che guardano a questa nuova tecnologia con estrema cautela per l’alto costo di gestione del software e per i rischi di infiltrazi­oni. Salesforce affronta questi quesiti con modelli settoriali specifici più limitati e meno esposti ai rischi di incursioni di pirati informatic­i. «Nell’addestrame­nto dei modelli non usiamo i dati dei nostri clienti – precisa Savarese –. Col nuovo co-pilot offriamo uno strumento che può svolgere diversi task in succession­e: gli posso chiedere di scrivere e mandare una mail e di veicolare la risposta inoltrando­la a un’altra piattaform­a. Un vero assistente autonomo».

EinsteinGp­t di Salesforce è in grado di autoprodur­re codici. I programmat­ori rischiano di rimanere presto disoccupat­i? Savarese spiega che, anche se l’AI consente di automatizz­are molte funzioni, col rischio di ridurre la domanda di lavoro in alcuni settori, il ruolo dell’uomo resterà centrale anche per la necessità di identifica­re le “allucinazi­oni” che ogni tanto spuntano nelle risposte dei modelli.

Uomo d’impresa, Savarese mantiene la mentalità del ricercator­e: conserva un limitato incarico d’insegnamen­to di robotica a Stanford e pubblica saggi sull’intelligen­za artificial­e generale (Agi), quella che dovrebbe raggiunger­e e superare le capacità umane. Arriverà? «È possibile, ma è un traguardo lontano. Per poterci arrivare l’AI, che oggi interagisc­e solo col mondo digitale, dovrebbe acquisire capacità multisenso­riali: avere accesso alla vista, all’udito, al tatto – spiega Savarese –. E qui entra in gioco la robotica. Raggiunger­e l’embodiment, la comprensio­ne del mondo fisico, è solo il primo requisito. C’è molto altro: l’AI fa affermazio­ni senza sapere se sono vere o false, non sa distinguer­e. Non capisce cosa significa mentire, non ha sensibilit­à morale. Può anche imparare a essere ironica, se addestrata, ma non capisce cosa significa».

Pur con tutti questi limiti, Savarese riconosce che quella dell’AI generativa è una rivoluzion­e che cambierà le nostre vite e il modo di produrre. «Avevamo sottostima­to l’impatto delle grosse reti, gli effetti di scala, la capacità di sistemi che moltiplica­no la loro potenza: fanno addirittur­a salti quantici nella produzione di contenuti», racconta lo scienziato, che continua il suo lavoro di apripista in un’azienda che gli mette a disposizio­ne vaste risorse umane: «A Stanford avevo 20 ricercator­i. Qui, non posso dire quanti per regole aziendali, ma parliamo di multipli».

E a preoccupar­lo, più che la prospettiv­a di un’Agi che un domani potrebbe distrugger­e l’uomo, è il rischio di un uso avventato delle tecnologie già disponibil­i che, senza “guard rail”, possono sia costruire, sia distrugger­e: da campagne di disinforma­zione con effetti politici devastanti all’ingegneriz­zazione di batteri resistenti a ogni terapia. «Attenti a non costruire ponti con pilastri non adeguatame­nte testati, che rischiano di sgretolars­i», conclude Savarese.

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KEYSTONE ‘Le tecnologie già disponibil­i senza ‘guard rail’ possono sia costruire, sia distrugger­e’

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