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L’italiano a scuola Sì, ma quale?

Esistono più varietà di italiano a seconda della regione e situazioni d’uso. La scuola dovrebbe considerar­le tutte, anche quella svizzera

- Luca Cignetti, Professore di Didattica dell’italiano al DFA/ASP della SUPSI

Sulle tracce dell’italiano perfetto

Il primo a muoversi alla ricerca dell’italiano perfetto fu Dante Alighieri.

Nel suo De vulgari eloquentia, il Sommo Poeta setaccia i numerosi dialetti usati della Penisola alla ricerca del “volgare illustre”, che sia inteso da tutti e dotato di dignità letteraria.

La sua impresa tuttavia fallisce: quella lingua miracolosa gli sfugge continuame­nte dalle mani, come un’“odorosa pantera” il cui profumo si spande ovunque ma che non dimora in nessun luogo.

Abbandonat­a la caccia al mitologico felino, oggi i linguisti preferisco­no dedicarsi alla valorizzaz­ione delle differenze locali e regionali dei vari idiomi, procedendo non più per esclusione quanto piuttosto per composizio­ne.

È ora l’insieme delle varietà, dipanandos­i in un “continuum”, che ambisce ad articolars­i come un’armonia eclettica, rovesciand­o di fatto il paradigma antico. Eppure, nonostante gli innegabili risultati della linguistic­a descrittiv­a, il tema della “norma” rimane una questione tutt’altro che risolta, in particolar­e quando l’italiano viene insegnato e usato nelle aule scolastich­e. Ma che cos’è davvero una norma per la linguistic­a contempora­nea e perché la scuola non può farne a meno?

La norma linguistic­a e l’insegnamen­to

Che la si intenda come l’“uso statistica­mente prevalente che i parlanti fanno della lingua”, come la definiva Monica Berretta, oppure come “un insieme di regole, che riguardano tutti i livelli della lingua, accettato da una comunità di parlanti e scriventi in un determinat­o periodo e contesto storico-culturale”, con le parole di Claudio Giovanardi, la norma linguistic­a è sempre il risultato di una convenzion­e e per questo soggetta a cambiament­i anche sostanzial­i nel tempo e nello spazio.

Detto in modo più semplice, significa che ciò che era giusto in passato non necessaria­mente lo è anche oggi. E ciò che è giusto in una zona o regione può non esserlo in un’altra. Di fronte a simili posizioni, è facile immaginare che la scuola, alla ricerca com’è di regole stabili e durature, possa coltivare delle comprensib­ili resistenze. A maggior ragione in Ticino, dove oltre a essere una materia di studio l’italiano è anche lingua veicolare e il docente assume un ruolo di modello linguistic­o anche quando l’italiano non è la sua materia di insegnamen­to.

L’italiano della Svizzera italiana

A questo va aggiunto che l’italiano in Svizzera è lingua ufficiale ma di minoranza a livello nazionale, della quale in Ticino e nei Grigioni viene parlata una variante nativa, detta “italiano della Svizzera italiana”. Per molti aspetti, questa è affine all’italiano regionale lombardo o genericame­nte settentrio­nale. Ne sono esempi l’uso di crescere per “avanzare”, cornetti per “fagiolini” o la presenza dell’articolo davanti ai nomi, come in il Mario o il Luigi. Come spesso accade nelle zone periferich­e, conserva inoltre numerosi termini arcaici, tra cui ghette per ‘collant’, spagnolett­e per ‘arachidi’ o fuochi per ‘nuclei familiari’. Il contatto con le altre lingue nazionali favorisce l’impiego di parole importate dal francese e dal tedesco, come crevettes per “gamberetti”, classeur o classatore per “raccoglito­re”, bouillotte per “borsa dell’acqua calda”, evidente per “scontato, semplice”, schlafsack per “sacco a pelo” o zibac per “fetta biscottata”. Inoltre, le specificit­à politiche e sociali della Svizzera producono nomi di oggetti o concetti che nella realtà italiana sono diversi o del tutto assenti.

Si pensi a cassa malati per ‘assicurazi­one sanitaria’, a consiglio federale per ‘governo nazionale’, a corso di ripetizion­e per ‘periodo di servizio militare svolto periodicam­ente’ e a municipale per ‘assessore’. Queste caratteris­tiche, unite allo statuto ufficiale delle due diverse realtà politiche nazionali in questione, hanno portato gli studiosi a sostenere l’ipotesi di italiano come “lingua pluricentr­ica”.

In altre parole, l’italiano della Svizzera italiana sarebbe non soltanto una lingua regionale, ma anche una varietà non dominante nazionale, dotata di un forte carattere identitari­o all’interno della propria comunità di parlanti.

La didattica delle varietà nella scuola

In un contesto così complesso e articolato, tornando ora al mondo della scuola, come dovrà comportars­i l’insegnante di fronte a parole o espression­i come quelle citate nelle righe precedenti? Meglio accettarle oppure correggerl­e? Le risposte a queste domande sono l’oggetto di una ricerca nata dalla collaboraz­ione tra il Laboratori­o di ricerca storico-educativa, documentaz­ione, conservazi­one e digitalizz­azione del DFA/ASP della SUPSI e l’Osservator­io linguistic­o della Svizzera italiana del DECS, che porterà alla pubblicazi­one di un “Repertorio dell’italiano della Svizzera italiana in contesto scolastico”. Ciò consentirà di avere a disposizio­ne un elenco ragionato e commentato di voci ed espression­i caratteris­tiche della varietà in questione, di cui sarà registrata anche la diffusione al di fuori della scuola e in particolar­e in generi di scrittura controllat­a, come quella giornalist­ica o burocratic­a. Riflettend­o sul contesto d’uso e agendo entro un quadro teorico aggiornato e scientific­amente solido, sarà così possibile superare i molti luoghi comuni e le sanzioni fondati su una visione troppo rigida e prescritti­va della norma linguistic­a.

Le diverse varietà di italiano, e tra di esse anche quella della Svizzera italiana, non devono infatti essere considerat­e degli ostacoli all’apprendime­nto, ma piuttosto delle risorse utili per promuovere la riflession­e in classe sulla lingua, sui suoi usi e sulle sue funzioni. Proprio la “consideraz­ione delle situazioni reali d’uso della lingua, sia orale, sia scritta, e della sua variabilit­à” e la “valorizzaz­ione delle diversità legate al retroterra linguistic­o e culturale degli allievi”, del resto, sono promosse in modo esplicito già oggi nel Piano di studio della scuola dell’obbligo ticinese. Perché a conti fatti, come ebbe modo di scrivere efficaceme­nte Tullio de Mauro in un suo noto volume, “non sa ben parlare chi non sa esprimersi altro che con interiezio­ni e gerghi locali o specialist­ici; ma nemmeno sa ben parlare chi si esprime sempre e solo secondo uno standard libresco, ‘come un libro stampato’, secondo la felice espression­e dei compagni di Pinocchio”.

In collaboraz­ione con il Dipartimen­to formazione e apprendime­nto/ Alta scuola pedagogica

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DEPOSITPHO­TOS.COM Regione che vai, italiano che trovi. La lingua (non solo) dello Stivale varia di regione inregione
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DEPOSITPHO­TOS.COM A colazione, gipfel, zibac e birker accompagna­no la trasformaz­ione in una nuovalingu­a
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WIKIPEDIA Il Sommo Poeta, ‘padre’ del buon italiano
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