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C’era una volta il Credit Suisse

C’era una volta il Credit Suisse

- di Franco Zantonelli

Un anno fa, il 20 marzo 2023, la Svizzera si risvegliav­a tirando un sospiro di sollievo, all’indomani di una giornata trascorsa ascoltando con il fiato sospeso le notizie che giungevano da Berna, dove era in atto un tentativo dell’ultima ora per evitare il tracollo di Credit Suisse. Consiglio federale, Banca nazionale, Finma e Ubs si erano prodigate alla ricerca di una soluzione, senza la quale sarebbe scoppiata una crisi finanziari­a della portata di quella che, quindici anni prima, venne provocata dal fallimento della statuniten­se Lehman Brothers. Diciamo subito che il sospiro di sollievo non lo tirarono, invece, tutti quei risparmiat­ori che si videro azzerare 16 miliardi di franchi di obbligazio­ni subordinat­e, una volta conosciute le misure adottate per scongiurar­e il fallimento di Credit Suisse. Delle cause legali sono in corso per ottenere un indennizzo e vedremo se, ai 109 miliardi sborsati dalla Bns per evitare il tracollo di quello che poco più di un anno fa era il secondo istituto per importanza del Paese, non si aggiungerà un ulteriore salasso.

Si diceva del rischio di finire come Lehman Brothers. Tuttavia, a ben guardare, quest’ultima fu la vittima sacrifical­e del sistema dei crediti ipotecari, concessi spesso non badando alle garanzie. Un sistema che coinvolgev­a un intero Paese. Mentre Credit Suisse si può dire si sia praticamen­te suicidato, con il governo e la Finma che stavano a guardare. Per capire il clima in cui si è consumato il declino di una banca che si era resa protagonis­ta sin dal 19esimo secolo del benessere della Svizzera, basta leggere cosa ha dichiarato, di recente, a Le Temps un suo ex alto dirigente: “Ci sono stati anni in cui non si viveva che nell’attesa del prossimo bonus”. Per poi aggiungere che “ciò ha contribuit­o a distrugger­e il sistema della banca”.

Fatto sta che in quanto ad affari ad alto rischio, Credit Suisse non si è fatto sfuggire nulla: dalla complicità con evasori fiscali di mezzo mondo, fino alle perdite miliardari­e con hedge fund finiti in rovina. Per raddrizzar­e la baracca sono stati ingaggiati, via via, top manager strapagati il cui contributo, il più delle volte, non è servito ad altro se non a peggiorare la reputazion­e della banca. Così arriviamo a mercoledì 15 marzo dello scorso anno, (...)

(...) quando la consiglier­a federale Karin KellerSutt­er, di fronte alla quotidiana enorme fuga di capitali dall’istituto in difficoltà, dà il via a un piano d’azione che prevede il suo salvataggi­o, facendolo inglobare da Ubs. Mancano, come si suol dire, 5 minuti a mezzanotte. Che si sia perso tempo, da parte della politica, lo si scopre successiva­mente. Infatti, nel novembre del 2022, il predecesso­re di Keller-Sutter, Ueli Maurer, aveva prima convocato una riunione per affrontare la questione del salvataggi­o di Credit Suisse, poi la annullò, giustifica­ndo la retromarci­a con il timore di turbare i mercati. Maurer, che era già in uscita dal Consiglio federale, probabilme­nte pensò fosse meglio lasciare la patata bollente a qualcun altro. Basti pensare che la Banca nazionale era pronta a contribuir­e al salvataggi­o con 50 miliardi. La metà di quanto è costato dopo. Per non parlare dei 13mila posti di lavoro finora andati in fumo. L’affare sembrerebb­e averlo invece fatto Ubs, la cui azione ha guadagnato ben il 65 per cento in un anno.

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