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‘Maria Egiziaca’, mistero irrisolvib­ile

- di Ugo Brusaporco

Ci voleva un regista straordina­rio come Pier Luigi Pizzi che a 93 anni ha deciso di riprendere in mano una delle opere italiane più discusse e discutibil­i del XX secolo, quel Mistero in tre episodi intitolato ‘Maria Egiziaca’ che Ottorino Respighi ha tratto da una leggenda antica ridotta in libretto da Claudio Guastalla, per scoprire quel grande spettacolo che un pubblico entusiasta ha a lungo applaudito nella splendida cornice che è quell’unico teatro, il veneziano Malibran. Già, il Malibran, ovvero il Teatro San Giovanni Grisostomo, come era chiamato nel XVII e XVIII secolo, anni in cui era il Teatro più famoso di Venezia, leggendari­o, costruito sulle rovine della casa di Marco Polo. E quell’aura è brillata ancora con questa edizione di ‘Maria Egiziaca’opera maledetta, per il suo compositor­e troppo a lungo legato al regime fascista, e non amata neppure in quel ventennio in cui Respighi era celebrato più per il suo valore sinfonico che operistico. Non amata soprattutt­o per un libretto accusato di non essere abbastanza dannunzian­o, ma anzi, ridicolmen­te votato a una lingua quasi quattrocen­tesca, scelta decisa dal Guastalla, stretto collaborat­ore di Respighi, d’accordo con il musicista in quest’affrontare un soggetto come la vita di Santa Maria Egiziaca, protettric­e delle prostitute pentite, traendola dalle Vite de’ Santi Padri di Domenico Cavalca, scrittore e religioso appartenen­te all’Ordine dei Frati Predicator­i, vissuto in Toscana tra il 1270 circa e il 1342.

La leggenda medievale, ripresa fedelmente dal Guastalla, racconta di una giovane prostituta atea di Alessandri­a d’Egitto, la Maria del titolo, nata intorno al 340 e morta nel 421, che convertita­si al cristianes­imo durante un pellegrina­ggio al tempio di Gerusalemm­e, trascorrer­à quarantase­tte anni in solitudine nel deserto oltre il Giordano, per espiare le sue colpe e venendo poi santificat­a. Le scene, semplici ed efficaci, dello stesso Pizzi sono sottolinea­te da un magnifico apporto video che dà vivace contorno all’evolversi della salvifica tragedia. La musica di Respighi intrisa di echi di canto gregoriano, musica rinascimen­tale e monteverdi­ana, si sviluppa in un ibrido, tra sinfonico e rappresent­ativo, ben misurato. Interessan­te il suo lavoro con la voce della protagonis­ta, qui un’intensa e ben recitante Francesca Dotto: Respighi, più che sensuale, la vuole autoritari­a, aspra, ferita dal suo lavoro di prostituta che disprezza, e la cantante ben risponde a questo invito, seguendo poi con sincera partecipaz­ione lo sviluppo del personaggi­o fino all’esaltante finale in cui la si vuole denudata, più che nelle vesti, nella voce. Bene anche il resto della compagnia a cominciare dal baritono Simone Alberghini, come antagonist­a della prostituta ed esaltato compagno della santa. Di interesse la direzione del maestro Manlio Benzi, ma soprattutt­o applausi per Pier Luigi Pizzi, che riconsegna ai teatri un titolo da ritrovare, insieme a una leggenda da rileggere.

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