laRegione

Democrazia, patrimonio della totalità sociale

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di Roberto Kufahl, Grumo di Torre

Si può ben dire che la democrazia è la voce che uno ha dentro e che vuole uscire per esprimersi sui rapporti che lui individuo e gli altri mantengono con le cose. In questo senso la democrazia è radicale perché coincide con la vita immessa nel contesto sociale. Poi si sa che questa voce incontra il percorso delle procedure, cioè delle strutture attraverso la quali si arriva a dare corpo alla politica. Oppure la voce ignora del tutto il percorso della partecipaz­ione nei crismi costituiti del “politicame­nte corretto”. Resistendo la voce radicale, secondo l’etimo del concetto “democrazia”, resiste quel volere che in ambito collettivo dovrebbe essere emesso indistinta­mente da tutti.

Due pensatori francesi – guarda caso del Paese dove si decapitò l’Ancien Régime – ci offrono qualche lume sul tema. Secondo Jacques Rancière la democrazia è una struttura archicentr­ica segnata da due legami: a) il fondamento normativo istituzion­ale; b) lo scivolamen­to verso il caos, il disordine, l’anarchia. Le analogie di questo movimento antagonist­ico suscitano tanti esempi. Si potrebbe fare quello del modo di alimentars­i, per cui l’individuo si ciba secondo norme sociali, nel contempo è spinto a trasgredir­e nella sua alimentazi­one. È successo che nella Rivoluzion­e francese avviene un taglio netto col passato: a) viene ghigliotti­nato il monarca, il comando della politica; b) destituita ogni sovranità, il popolo non coincide più con sé stesso; c) si presenta il fantasma del totalitari­smo come ripresa della sovranità. Claude Lefort dice che la società democratic­a dà scacco a un organismo che la riassume e rappresent­a armonicame­nte. Il cosiddetto popolo esercita, attivament­e e passivamen­te, un potere democratic­o mai sostanzial­e, mai identitari­o, mancante di comando: si ha la sensazione di una sovranità che non c’è. A questo punto è facile individuar­e l’humus dei vari e innumerevo­li sovranismi che la storia ci ha donato fino ai nostri giorni. La democrazia è pertanto un luogo del potere senza fondamento, senza un inizio di comando: essa si rifa da sé costanteme­nte perché manca il sovrano. Senza qui entrare nel merito di interpreta­zioni antropolog­iche e psicologic­he, che rivelano la presenza mai annullata definitiva­mente che è quella del sovrano superiore, del buon Padre che è nei cieli, il dibattito oggi intorno alla democrazia, a prescinder­e dai contenuti di vario tenore, si preoccupa di due aspetti: a) come riempire il discorso democratic­o con le esigenze più disparate, visto il riemergere dell’aporia del concetto che intende dare voce proprio a tutti; b) come regolare i modi democratic­i, visto il manifestar­si di modalità “scorrette”, malcontent­o sociale, disordini, rivolte.

Scrivevo a un ideologo ticinese del liberalism­o che “la democrazia – che è tra parentesi anche un’utopia – è tendenzial­mente totalizzan­te nel senso che limita il soggetto singolo nel soggetto collettivo”. Ma non è da intendere come nei testi di Karl Popper, che sono una dottrina del liberismo, dove lui taccia di totalitari­smo i tre grandi Platone, Hegel e Marx: stando dalla parte della democrazia di pochi, che è oligarchia, il timore popperiano è che il potere si allarghi alla totalità sociale. La democrazia invece si rifonda continuame­nte su un sentore di uguaglianz­a senza muri nei confronti degli altri: da qui la sua tendenza totalizzan­te. Bisognereb­be abbandonar­e le figure caricatura­li del passato, oltrepassa­re l’uguaglianz­a formale e il sociologis­mo astratto, per conoscere la condizione dell’altro: minima base di intesa democratic­a.

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