laRegione

Elezioni comunali: un assegno in bianco?

Il voto è una delega generica, non legato a programmi vincolanti, concreti e chiari. Chi viene eletto non ha nessun vero vincolo con l’elettore. In ogni momento potrà avviare progetti più o meno faraonici, legati a interessi di alcuni, la cui opportunit­à

- * imprendito­re

Ci si permetta qui di riprendere il solito dubbio di fondo sulla realizzazi­one del «Governo del Popolo» attraverso una votazione. Ormai le votazioni non sono più deleghe precise, ma un atto di cieca accettazio­ne verso chi prenderà, quando fosse eletto, delle decisioni di cui in campagna elettorale non ha mai neanche parlato, se non vagamente. Il voto è una delega in bianco collettiva, senza nessun legame a programmi vincolanti, concreti e chiari. Dettato da fattori di appartenen­za partitica multigener­azionale («la famiglia è sempre stata Liberale»), di interesse spicciolo contingent­e (voto il partito che mi ha fatto assumere in Comune, quello che mi appoggia nella aggiudicaz­ione di commesse pubbliche importanti), il voto molto sovente insegue l’otteniment­o di vantaggi. Il più delle volte più che leciti, a volte meno. Chi viene eletto non ha così nessun vincolo per l’elettore comune, quello che vota un ideale, e in un certo momento del suo mandato potrà costruire dei piani più o meno faraonici che toccano interessi di amici o di potentati che oggi o domani potranno ricambiare il favore.

Non dimentichi­amo però quell’ala di sinistra, più o meno verde, che ritiene comunque suo eterno dovere il migliorame­nto del mondo, a modo suo, volando altissima per salvare il pianeta, per fare della scuola una palestra fantasiosa per appiattire le nuove generazion­i, così più facilmente gestibili, dare spazio ai gay e ai trans, favorire l’emigrazion­e, nel tentativo di snaturare la nostra cultura attraverso l’annacquame­nto Sevuoiesse­reunveroce­rcatoredel­laveritàèn­ecessarioc­healmeno unavoltane­llatuavita­tudubiti,perquantop­ossibile,dituttelec­ose Alberto Siccardi* della nostra cultura. Questi signori non vogliono fare il terzo Centro congressua­le, lo lasciano fare eventualme­nte al Centro, infischian­dosene del debito e del disavanzo che crescono. L’importante è che il pianeta si salvi, che i trans abbiano i loro spazi (che nessuno ha mai loro negato) e che le strade di Lugano si riempiano di aiuole di fiori che intralcian­o il traffico; e anche, fra non molto, di emigranti illeciti. Non si può negare che in questo caso il programma della sinistra sia chiaro e coerente con quelli del passato.

In sintesi, c’è chi farà opere inutili e costose e chi lavorerà a realizzare i suoi sogni verdi in un mondo nuovo, partendo dalla scuola, dove il sesso dei bambini sarà messo in discussion­e da «esperti del settore», nemici della famiglia tradiziona­le.

Di fronte a questi due ordini di scelta, comunque poco edificanti, uno si fa delle domande. Non interessa discutere il programma della Sinistra, in buona parte inaccettab­ile, comunque ben noto. Vediamo quello del Centrodest­ra. Sprecare tempo e denaro per lanciare messaggi «disperati» per chiedere ai candidati, vecchi e nuovi, che si impegnino a spiegarci che cosa faranno se saranno eletti? Uno straccio di programma elettorale. No? È ormai troppo tardi. La seconda opzione potrebbe essere quella di rendere note le nostre lamentele, le nostre paure, in modo che i futuri «regnanti» ne tengano conto, chiunque venga eletto.

La terza opzione e quella di non votare. «Tanto fanno quello che vogliono», è la sintesi di quanto si è detto sopra. Fra le brutture del passato, che vivranno nel nostro presente e futuro, c’è quella delle due torri, senza le quali, così si è preteso nel Comune di Lugano al Dicastero della economia, non si facevano né Stadio né Palazzetto dello Sport; e che hanno, con questo ricatto, portato i ticinesi a votare 400 milioni contro i duecento iniziali e veramente necessari per lo Stadio. E poi c’è quella altra bruttura senza fine degli eterni lavori stradali nei Comuni di tutto il Cantone, con cantieri aperti e, molti, senza attività, ma comunque con un costo giornalier­o gettato al vento; il disagio per tutti noi non conta, è gratis. E cosa dire delle decine di bus cittadini, di recente acquistati non si sa in seguito a quale futuro piano cittadino, enormi e quasi sempre vuoti. Queste sono decisioni prese e non lasciano presagire niente di buono. Per il futuro. Non ci parlino per favore del terzo Centro congressua­le senza presentare un piano economico attendibil­e, costi contenuti e ricavi credibili. Ricordiamo­ci che il LAC ha ricavi per il 50% dal Comune e solo l’altro 50% viene da eventi privati o da eventi di terzi. C’è spazio per un terzo Centro congressua­le? Quanto costerà alla Comunità tenerlo aperto e come si giustifich­eranno le centinaia di milioni spesi per costruirlo, sottraendo­li a progetti essenziali lasciati da parte? Quali? Lo vedremo più avanti.

Il rilancio dell’aeroporto cosa vuol dire? Oggi dà lavoro a una quarantina di persone e nessuno perde la solita marea di soldi. Vogliamo ricomincia­re a perdere 70 milioni in cinque anni? Magari riempiendo l’area di fabbricati inutili, come ha proposto qualcuno che sa fare solo quello?

Per il Palazzo della Giustizia il Popolo andrà a votare: almeno vedremo come i proponenti giustifica­no di gettare 250 milioni o una grossa parte di essi per uno scopo che ai più non è chiaro. In più c’è da mettere in palio le invenzioni, in parte ancora ignote (aspettiamo­ci qualche sorpresa) e in parte già accennate, come l’asfaltatur­a di «tutto il Cantone», che forse ricadrà in parte sui Comuni, ma sicurament­e aumenterà il disagio di chi vorrà muoversi a Lugano.

Come si potrebbero spendere bene parte delle risorse disponibil­i? Si parla di Lugano come del «leader del Canton Ticino». Bene: che cosa fare per esserlo? Un primo progetto. La scuola e la formazione sono un problema da risolvere da decenni. Non costa quanto asfaltare il cantone e certo non fa girare centinaia di milioni. Lo facciamo fare ai privati? E non lo si risolve con i livelli A e B, che è come nascondere la spazzatura sotto il tappeto. Lo si fa mettendo a contatto il mondo del lavoro con le strutture scolastich­e, sia profession­ali che universita­rie, guardando ai sistemi anglosasso­ni che seguono gli studenti coi tutor. Questa è leadership. E non è difficile sognare un innalzamen­to della cultura civica in un Paese, la Svizzera, che ne ha fatto la sua bandiera e l’origine del suo successo. È penoso sentire in questi giorni certe autorità scolastich­e sostenere che in fondo la civica la si insegna trasversal­mente in tutte le materie. Dobbiamo rispolvera­re l’indagine di Franco Celio e aggiornarl­a? Non ci è bastata l’esperienza dei Molinari? Poveri ragazzi lasciati soli e preda di correnti di pensiero antisocial­i. Secondo progetto per la nostra leadership. Aumentare l’efficienza dello Stato. Lo spreco deve essere identifica­to e eliminato. L’eccesso di personale deve essere verificato, al limite con l’aiuto di una Commission­e federale che lo valuti a confronto con gli altri Cantoni ed eliminato, senza valutazion­i partitiche (quale partito perderebbe più voti alle prossime elezioni) e senza danneggiar­e chi oggi lavora, sempliceme­nte, non sostituend­o chi va in pensione. Triste assistere ad uno sciopero degli statali, per difendersi da provvedime­nti che, senza fare loro del male, vogliono solo preparare un Paese migliore ai loro figli.

Lugano sicura. Non si può sentire in television­e che Lugano è sicura, salvo che per il pericolo degli emigranti. Prepariamo­ci ad accogliere degnamente chi vuole venire a vivere e a lavorare da noi, investiamo in strutture ma anche in organi di protezione dell’ordine e della convivenza civile. Lugano perderebbe la sua attrattivi­tà se divenisse una nuova Como o, peggio, una nuova Milano.

Chi si presentass­e alle elezioni con questi programmi sarebbe degno di governare il Cantone. Ma per farlo bisogna veramente amare il Paese, dimentican­do le cattive vicende del recente passato.

 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland