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Zero netto significa rinuncia ai consumi

Il segnale di allarme viene dagli economisti, che vedono nella politica climatica dell’UE un pericolo per lo sviluppo dell’Europa. Intanto a Berna…

- Beat Gygi*

«S iamo qui, facciamo la voce grossa, perché...». No, questa volta non sono gli attivisti di «Friday for Future» ad alzare la voce, ma gli economisti che vedono nella politica climatica dell’Unione un rischio per lo sviluppo.

Toni nuovi e di provocator­ia sobrietà: così si è presentato di recente l’IFO, Institute for Economic Research di Monaco di Baviera, insieme alla ramificata rete di economisti Econpol Europe e alla piattaform­a di discussion­e European Roundtable on Climate Change and Sustainabl­e Transition (ERCST): un ampio appello affinché la politica climatica tenga maggiormen­te conto degli intrecci economici.

Il documento, di oltre trenta pagine, si rivolge principalm­ente alla futura Commission­e UE, che plasmerà la prossima legislatur­a dopo le imminenti elezioni.

Gli autori Clemens Fuest (CEO IFO), Andrei Marcu (ERCST) e Michael Mehling (MIT) vogliono far capire ai politici che la cosiddetta «protezione del clima» dovrebbe essere considerat­a anche come una questione di politica economica, industrial­e e della concorrenz­a.

Il linguaggio è prudenteme­nte diplomatic­o, ma il contenuto è chiaro: in passato, quando si trattava di ridurre le emissioni di gas serra - la cosiddetta decarboniz­zazione - l’UE si è attenuta a principi economici e ha incentrato i suoi approcci politici sull’efficienza dei costi e sulle forze di mercato.

Tuttavia, alla luce della portata e dei costi di questa decarboniz­zazione, l’UE tende sempre più a intervenir­e sul mercato e a concedere sovvenzion­i costose per alcune tecnologie. L’obiettivo del Green Deal dell’UE, per esempio, è di investire mille miliardi di euro in progetti cosiddetti sostenibil­i entro dieci anni. I costi amministra­tivi aggiuntivi per i cittadini e le imprese sono stimati in due miliardi di euro. Secondo gli economisti, è ora più importante che mai proteggere l’efficienza dei mercati e la neutralità tecnologic­a dalle ingerenze politiche. Il coinvolgim­ento del settore pubblico e la regolament­azione non dovrebbero essere in primo piano, perché si sta diffondend­o un senso di eccessiva regolament­azione e di logorament­o normativo. Nell’UE, l’attenzione si concentra viepiù sull’attuazione delle misure climatiche adottate, che stanno avendo un impatto sempre più tangibile sulla società nel suo complesso - e il sostegno pubblico non dovrebbe essere dato per scontato; sono necessari grandi sforzi per mantenerlo. Si critica anche il fatto che la politica climatica e la transizion­e verso un’economia a basse emissioni di anidride carbonica siano spesso presentate come realizzabi­li senza difficoltà economiche.

Nel contempo - e questo è un colpo durissimo dell’economia, contro le nozioni convenzion­ali di «crescita verde» - gran parte degli investimen­ti per la decarboniz­zazione non portano alcuna capacità produttiva aggiuntiva: no, si limitano a sostituire un capitale oggi esistente e funzionant­e di natura fossile. Sebbene la decarboniz­zazione non riduca di molto il Prodotto interno lordo, in quanto vengono inclusi anche gli investimen­ti, l’effetto sul benessere della popolazion­e è grave, in quanto l’intero importo viene sottratto ai consumi. In breve, i cittadini dovranno stringere la cinghia per pagare la decarboniz­zazione. A questa realtà economica non sfugge nessuno!

Cura dell’immagine

Perché l’Amministra­zione federale svizzera è così favorevole a legami più stretti con l’UE o la NATO? Oltre a tutti gli stimoli ad assaporare un’aria internazio­nale nelle carriere amministra­tive, forse svolge un ruolo anche il mandato politico di curare l’immagine.

La Legge federale concernent­e la promozione dell’immagine della Svizzera all’estero prevede che la Confederaz­ione promuova «la diffusione di conoscenze generali riguardant­i la Svizzera, si adoperi per suscitare la simpatia verso il nostro Paese e metta in evidenza la sua diversità e le sue attrattive».

Questo compito è stato assegnato al Dipartimen­to federale degli affari esteri (DFAE). L’ultimo rapporto annuale sulla reputazion­e della Svizzera si concentra in particolar­e sul fallimento del Credit Suisse, che all’estero ha temporanea­mente portato a valutazion­i critiche nei confronti della piazza finanziari­a, e sulla posizione della Svizzera in relazione alla guerra in Ucraina, anch’essa spesso giudicata criticamen­te.

Questa constatazi­one potrebbe essere politicame­nte gradita ai vertici del DFAE. In altre parole, chi ha la responsabi­lità della determinaz­ione e dell’interpreta­zione dell’immagine della Svizzera all’estero può usarla anche per fare un po’ di politica interna. * dalla «Weltwoche» del 13.03.2024

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