laRegione

Dani Alves, i trapper e il portavoce del Cio

- di Stefano Marelli

Stare al mondo non sarà sempre tutto rose e fiori, ok, ma intanto è l’unico mestiere praticabil­e, e poi è comunque vero che non ci si annoia mai. A tenerci all’erta, fra molte altre cose, sono pure i dispacci d’agenzia che provvedono ad aggiornarc­i su quanto accade attorno a noi. Per quanto attiene allo sport, due sono le notizie che oggi tengono banco.

La prima – che a ben vedere con l’agonismo ha davvero poco da spartire – viene da Barcellona e ci racconta che Dani Alves, ex calciatore blaugrana e uno dei giocatori più vincenti, non sarà costretto a scontare in carcere la totalità della pena (quattro anni e mezzo) a cui è stato di recente condannato per stupro: la Giustizia, infatti, lo ha liberato dei ferri e gli ha concesso, in attesa della sentenza definitiva, di tornare a fare la sua vita in cambio di una cauzione da 1 milione di euro, che per lui, si sa, sono bruscolini.

Ma il problema, ovviamente, non sta nel tenore della cifra fissata dal tribunale: la sua liberazion­e sarebbe stata scandalosa anche se avesse dovuto versare un fantastili­ardo, perché in gioco infatti c’è qualcosa di valore inestimabi­le, e cioè il principio. La Spagna, Paese che negli ultimi decenni si era distinto per politiche sociali piuttosto all’avanguardi­a, con questa decisione è come se effettuass­e un salto triplo verso quel passato da cui pareva essersi invece affrancata. Perché in pratica, così agendo, ha sancito – e riaffermat­o – che la legge non è poi davvero uguale per tutti. Chi è ricco, infatti, in gattabuia ci resta sempre meno di chi è povero, quasi come ai tempi in cui i nobili potevano commettere qualsiasi nefandezza – compresi gli assassinii – a patto che potessero poi lavarsi fedina, coscienza e reputazion­e pagando in moneta sonante quanto stabilito, per ogni delitto, dai codici che loro stessi avevano in precedenza stilato. A danno, naturalmen­te, di un sacco di cose, ma soprattutt­o delle vittime – e della stessa legge – che in questo modo perde un bel po’ della sua credibilit­à.

Senza contare il pericolo che casi simili possano diventare il modello – distorto – a cui qualcuno potrebbe pensare di conformars­i. C’è infatti il rischio che, fra non molto, qualche trapper minchione (scusate il pleonasmo, che lascio soltanto per arrivare perfettame­nte alla fine della colonna) nelle sue ispirate rime venga a raccontarc­i vantandosi che, siccome ha guadagnato un monte di grana, può finalmente permetters­i un paio di stupri semi-legali all’anno. La seconda perla di giornata giunge invece, con doppia firma, da Cio e Russia, che hanno deciso di lanciarsi in reciproche accuse di discrimina­zione. In seguito alla decisione del governo olimpico di vietare agli atleti russi e bielorussi – oltre che di partecipar­e sotto le loro bandiere nazionali ai prossimi Giochi di Parigi – anche di sfilare insieme a tutti gli altri il giorno della cerimonia inaugurale del 26 luglio, Mosca ha definito l’atteggiame­nto del presidente del Cio Thomas Bach razzista e neonazista.

Il tedesco nemmeno ha reagito, affidando la risposta al portavoce ufficiale dell’istanza sportiva mondiale Mark Adams, il quale ha detto che le affermazio­ni del Cremlino superano di molto ciò che è accettabil­e. E ha tenuto a precisare che i Giochi dell’Amicizia, che la Russia intende organizzar­e in settembre come contro-Olimpiadi, sono da condannare perché politicizz­erebbero lo sport.

Ora, sostenere che lo sport sia qualcosa di avulso dalla politica è un’amenità che potremmo sentir dire dalle anime belle, idealiste e digiune di entrambe le discipline, ma suona davvero strano che a pronunciar­e queste parole sia proprio il Cio, cioè l’organismo planetario – insieme alla Fifa – che in assoluto presenta il maggior numero di compromiss­ioni con la politica. Politica e sport hanno sempre viaggiato a braccetto, fin dalla notte dei tempi, partendo dall’antichità, passando per Hitler e arrivando infine alla Cina e alla Russia dei giorni nostri, che se di recente hanno organizzat­o colossali kermesse muscolari non è stato certo per slancio decouberti­niano, ma per recapitare al mondo messaggi inequivoca­bili sulla loro potenza.

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KEYSTONE Sochi 2014: Ban Ki-Moon, Bach ePutin

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