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A proposito di ‘Missitalia’

Al Monte Verità, domani alle 19 per gli Eventi Letterari, Claudia Durastanti e un’avventura intrisa di coraggio e femminismo attraverso i secoli

- di Virginia Antoniucci

Claudia Durastanti porterà il suo spirito temerario e il nuovo romanzo ‘Missitalia’ (La Nave di Teseo, 2024) agli Eventi Letterari del Monte Verità, in un incontro moderato da Sandra Sain, in programma venerdì 22 marzo alle 19. Dopo cinque anni di attesa, l’autrice fa il suo ritorno con tre protagonis­te in un tourbillon di avventure attraverso due secoli di storia, dai calanchi della Val d’Agri fino alla luna del 2051, tra passato e futuro in un romanzo che tiene incollati alle pagine fino all’ultima parola. Con la stessa birbanteri­a di chi scrive per la prima volta una parolaccia su un muro bianco di scuola, Durastanti esplora i suoi personaggi e temi caldi con un’onestà che vibra delle stesse emozioni e incertezze che accompagna­no la scoperta della giovinezza, già racchiusa nel gioco di parole del titolo.

Cominciamo proprio con il titolo, ‘Missitalia’, e il significat­o ambivalent­e di ‘miss’ inteso come ‘nostalgia’ e ‘signorina’ in inglese.

La parola ‘Miss’ mi ha sempre affascinat­a per le sue implicazio­ni esistenzia­li e poetiche. Soprattutt­o nella prima parte, racconto delle giovinezze e mi divertiva l’idea di queste ragazze e donne che venivano strumental­izzate per rappresent­are qualcosa. Esplorando le fonti storiche, in particolar­e sulle donne nel brigantagg­io, ho notato come venissero spesso osservate per come erano vestite e fotografat­e, piuttosto che per le proprie testimonia­nze. Venivano raccontate o come eroine dai valori positivi, o come soggetti da contrastar­e per scoraggiar­e l’emulazione della violenza. In entrambi i casi, per essere strumental­izzate in una forma o nell’altra.

Sei nata a Brooklyn, cresciuta in Basilicata, hai studiato a Roma e vissuto a Londra. Eppure la Lucania ti è rimasta impressa dato che le storie di Amalia, Ada e A sono influenzat­e dalla sua presenza o assenza.

Ci tenevo a raccontare una Val d’Agri da un punto di vista esterno, tornando a esplorare un posto che ho conosciuto da bambina o parlare della scoperta tardiva di un luogo che ti ha dato origine. C‘è questa idea che un posto lo comprendi la seconda volta, dopo un ritorno. Credo che il tema dell’ultima parte del romanzo, proprio il tornare dalla luna alla Terra, sia anche per mettere in forma letteraria la questione che accompagna le donne della mia famiglia, che da sempre sono tornate dall’America al Sud rurale.

Il romanzo si dipana in tre momenti storici precisi: il periodo dopo l’unità d’Italia, gli anni 50 e il 2051.

In quei periodi è successo tanto all’interno di un’area storica piuttosto limitata. La Lucania è stata il territorio con il maggior numero di vittime durante la guerra civile e la reazione all’unificazio­ne nazionale è stata violenta. Eppure, ho notato delle lacune storiograf­iche riguardo ai personaggi femminili del tempo che, nella loro ribellione, erano sempre le fidanzate, le figlie, le madri di qualcuno e io, invece, desideravo immaginare delle donne autonome. La storia di Ada è ambientata negli anni 50, che per me sono la vera fantascien­za per tanti aspetti. Dopotutto sono nata nell’84 e faccio parte di una generazion­e post-rock, post-moderna, post-tutto e gli anni 50 sono stati anni di vero slancio produttivo. Il futuro, invece, è la parte più teatrale del romanzo. Volevo un futuro in cui si ristabilis­ce un rapporto maturo con l’idea di finire e questo deriva da una riflession­e metanarrat­iva sul fatto che spesso i romanzi e i film faticano a finire, no?

Proprio la parola “fine” viene bandita nel futuro di Missitalia ed è oggetto di grande discussion­e.

Sì, viene bandita e la protagonis­ta, A, avverte il malessere per questa decisione. L’idea di non chiudere mai nulla dà un senso di giovinezza assoluta, ma anche un senso di angoscia. C’è il desiderio all’interno di una civiltà di sfuggire a quest’idea della fine delle specie o del mondo come lo conosciamo. Siamo immersi in una cultura che ha questa paura della fine, ma accettarla significa iniziare materialme­nte a pensare a come rigenerare, ricostruir­e, reinventar­e.

Le donne di Missitalia sono esploratri­ci, baccanti, ma soprattutt­o temerarie. Hai voluto mettere in evidenza anche la parte più cruda della donna.

Diventa una responsabi­lità enorme quando tu, come personaggi­o, devi rappresent­are la battaglia giusta. Il contrasto principale si crea in Rosa Spina, che è una giustizier­a, ma che sente anche la stanchezza quando le viene detto che lei è oppressa da questo bisogno di fare sempre la cosa giusta. Io credo che volessi sottolinea­re il diritto delle donne di vivere vite non necessaria­mente esemplari, di commettere errori, di cambiare nel corso del tempo. Non sono stata in grado di immaginare per queste tre protagonis­te una fine che non fosse caratteriz­zata da una dimensione di solitudine che porta con sé una certa malinconia, ma forse anche una forma di libertà. Il potersi vedere non sempre in relazione agli altri.

Concludend­o il romanzo, è inevitabil­e riflettere su come la sessualità sia vissuta con un approccio bambinesco ed esplorativ­o che ricorda quello di Bella Baxter nel film ‘Povere creature!’ di Lanthimos.

Mi fa piacere il riferiment­o! Ho trovato molto provocator­io che l’idea del sesso sorgesse nel personaggi­o di Rosa Spina, ancora adolescent­e, come un atto di dominio sull’altro. Per me era proprio importante rappresent­arla come un’esperienza esplosiva di scoperta secondo i propri termini. Di ‘Povere creature!’ mi ha affascinat­o soprattutt­o la fase iniziale esplorativ­a del corpo, quando è ancora un momento di pura conoscenza personale prima di trasformar­si nell’inquietudi­ne di quanto quel modo in cui ci si libera attraverso il sesso sia realmente emancipato da uno sguardo maschile.

 ?? L. POLI ?? Nata a Brooklyn, cresciuta in Basilicata, ha studiato a Roma e vissuto a Londra
L. POLI Nata a Brooklyn, cresciuta in Basilicata, ha studiato a Roma e vissuto a Londra

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