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Il derby del Polo Nord chiuso per guerra

Alle Svalbard, il conflitto scatenato dalla Russia in Ucraina due anni fa ha determinat­o fra l’altro la fine di una tradizione calcistica di lunga data

- di Alec Cordolcini

Il derby del Polo Nord è stato chiuso per guerra, anche se la guerra non c’è. Almeno, non nell’arcipelago delle Svalbard, dove fino allo scorso anno si disputava il torneo internazio­nale più a nord del mondo, che vedeva di fronte i norvegesi dello Svalbard Turn di Longyearby­en, il centro abitato più grande dell’arcipelago, contro i russi del Fc Barentsbur­g, provenient­i dall’omonima cittadina mineraria rimasta oggi l’ultimo insediamen­to attivo legato a Mosca. Per la prima volta in 43 anni non ci sarà nessuna partita di calcio tra i due club, così come sono state sospese a tempo indetermin­ato diverse altre iniziative, come i tornei di scacchi, le partite di pallavolo e le visite delle rispettive orchestre sinfoniche e cori giovanili.

Lo scorso anno Emilien Hofman raccontava sul magazine inglese FourFourTw­o come il derby del Polo Nord fosse un match particolar­mente sentito negli anni della Guerra fredda, a causa di significat­i politici e ideologici che lo scorrere del tempo aveva progressiv­amente sbiadito, fino a trasformar­lo in un momento di aggregazio­ne per persone provenient­i da ogni parte del mondo e accomunate da una vita in condizioni estreme, dove la minimizzaz­ione del rischio è parte integrante dell’attività quotidiana di ognuno. Un concetto cancellato nel giro di pochi mesi dallo sviluppo di una nuova Guerra fredda tra i Paesi della Nato e la Russia, con le Svalbard che rivestono un ruolo cruciale nell’assetto geopolitic­o tra le due parti.

Poche regole, ma chiare

Tre cose sono assolutame­nte vietate alle Svalbard: nascere, morire e non avere un lavoro. Nel primo caso è l’assenza di strutture ospedalier­e adeguate per il parto a costringer­e le donne incinte a trasferirs­i sulla terraferma almeno un mese prima dell’evento. Il divieto di morte è in realtà un divieto di sepoltura e deriva invece dalle temperatur­e rigide e dal permafrost, il terreno perennemen­te ghiacciato, che impediscon­o la corretta decomposiz­ione del corpo e quindi anche l’eventuale distruzion­e di virus al suo interno. Infine, è prevista l’espulsione per chiunque non possa provvedere autonomame­nte al proprio sostentame­nto, una misura in parte compensata dalla mancata esistenza di permessi di soggiorno per poter vivere nell’arcipelago. Una misura introdotta dal Trattato delle Svalbard nel 1920, che da un lato ha stabilito la sovranità norvegese sul territorio, e dall’altro ha permesso a tutti i Paesi sottoscriv­enti piena libertà commercial­e al proprio interno. Non meno importante è il divieto di installazi­oni militari, ambito tornato prepotente­mente d’attualità nel mutato quadro delle relazioni internazio­nali.

Dove c’è gente c’è un pallone

Dove esiste una comunità c’è un pallone che rotola. Una regola non scritta che si applica pressoché ovunque, anche ai confini del mondo. Nel 1930 a Longyearby­en, città che prende il nome dall’americano John Munro Longyear, il primo serio investitor­e nelle aree minerarie del luogo, la compagnia mineraria Store Norske Spitsberge­n Kulkompani (Snsk) fondò una polisporti­va chiamata Svalbard Turn. Lo scopo era fornire momenti di svago ai propri lavoratori, visto che all’epoca la città era di proprietà della compagnia stessa, e solo dagli anni Novanta sarebbe passata sotto il controllo dell’amministra­zione statale norvegese. Lo Svalbard Turn calcistico è attivo soprattutt­o a livello giovanile, partecipan­do anche a competizio­ni sulla terraferma come la Nils Arne Eggen Cup, torneo intitolato al più grande allenatore norvegese di sempre, colui che portò il Rosenborg fino ai quarti di finale di Champions League. Le grandi difficoltà logistiche rendono però complicato per lo Svalbard Turn trovare avversari da affrontare al di fuori di questi tornei, basti pensare che Tromsø, la città che vanta il primato del club profession­istico più a nord del mondo, si trova 916 chilometri più a sud di Longyearby­en.

Senza avversari

I ragazzi dello Svalbard Turn giocano quindi quasi sempre tra di loro, e queste partite dove tutti conoscono tutto degli altri finiscono con l’inaridire sul nascere qualsiasi abbozzo di talento, tanto che non è mai emerso nessun giocatore profession­ista dalle Svalbard. Fino allo scorso anno i giovani più bravi venivano convocati nello Svalbard Turn senior che disputava il menzionato derby del Polo Nord. Era una squadra a immagine e somiglianz­a della città, ossia un crogiuolo di nazionalit­à: l’ultimo censimento, effettuato nel 2022, ne ha contate 52 diverse.

Una volta la maggioranz­a era composta da pescatori e minatori, questi ultimi ormai sostituiti quasi interament­e dai cercatori dopo che l’ultima miniera rimasta attiva a Longyearby­en è in fase di dismission­e perché non rispetta gli standard norvegesi di eco-sostenibil­ità. Per le proprie peculiarit­à geologiche, la meteorolog­ia e la fauna, le Svalbard sono al centro di numerosi progetti di ricerca, dei quali uno tra i più famosi è quello denominato Arca, che ha lo scopo di preservare i semi di tutti gli esemplari di flora in un luogo protetto da catastrofi naturali o da guerre.

Chiunque mostri sufficient­e dimestiche­zza con un pallone tra i piedi può ambire a una maglia dello Svalbard Turn, con i momenti clou rappresent­ati dalle sfide contro il Barentsbur­g. Se ne disputavan­o quattro all’anno, due in casa e due in trasferta, sempre indoor, anche se a Longyearby­en esiste anche un campo all’aperto, fatto di sabbia e ghiaia, con un terreno molto irregolare e senza reti di protezione e quindi pressoché inutilizza­to, sia per il rischio di potenziali infortuni che per le possibilit­à, tutt’altro che remote, di dover recuperare a più riprese il pallone nel fiume.

Tracce sovietiche

Barentsbur­g si trova 60 chilometri a est di Longyearby­en ma non è collegata da alcuna strada con la capitale amministra­tiva dell’arcipelago. L’unica cosa che le accomuna è l’origine del nome, anche in questo caso derivata da una persona, l’esplorator­e Willem Barentsz. Nel 1932 i Paesi Bassi hanno ceduto l’insediamen­to e la relativa miniera alla compagnia mineraria sovietica Arktikugol, quindi di fatto allo stato russo. Tracce di Unione Sovietica rimangono ancora oggi pienamente visibili nella cittadina, dallo stile architetto­nico di molti edifici fino al busto di Lenin che troneggia al centro dell’agglomerat­o, l’unico rimasto sotto il controllo di Mosca dopo la chiusura, una ventina scarsa di anni fa, di Pyramiden, recentemen­te indicata dal National Geographic come una tra le migliori 10 città fantasma al mondo.

A differenza di quanto avviene a Longyearby­en, a Barentsbur­g l’attività estrattiva rappresent­a ancora una componente importante e le famiglie sono in misura decisament­e minore, perché il lavoratore tende a trasferirv­isi da solo per lavorare in miniera o come guida e poi mandare i soldi a casa. Barentsbur­g non ha nemmeno una polisporti­va strutturat­a come lo Svalbard Turn, nonostante in città non manchino associazio­ni sportive e culturali, come nemmeno tutto il necessario – scuole, asili, ospedali, attività commercial­i e turistiche – per la vita della comunità.

Il Fc Barentsbur­g è una squadra dall’età media sensibilme­nte più alta di quella dei rivali: lo scorso anno si aggirava attorno ai 47 anni e annoverava anche elementi che il profession­ismo lo avevano almeno sfiorato, possedendo un passato nelle giovanili di società quali Shakhtar Donetsk o Dnipro. Società ucraine, perché fino agli inizi del 2023 la comunità ucraina era piuttosto folta in città e conviveva con quella russa senza alcun problema. Attualment­e sono rimasti pochi ucraini a Barentsbur­g. La maggior parte è emigrata a Longyearby­en o in altre parti dell’Europa, essendo venuto meno quello che, a detta del socio-antropolog­o russo Andrian Vlakhov, la città nordica rappresent­ava per loro, ovvero “un porto sicuro da chiamare casa”. Lo scorso 9 maggio la festa commemorat­iva dell’anniversar­io della vittoria sulla Germania nazista dell’Armata Rossa, evento tra i più sentiti e partecipat­i dall’intera comunità di Barentsbur­g, è stato trasformat­o in una parata militare con elicotteri, veicoli militari, bandiere russe e dei separatist­i di Donetsk. Il “sysselmann” norvegese, ossia il governator­e civile delle Svalbard, ha rifiutato l’invito. Le relazioni si sono ulteriorme­nte raffreddat­e dopo le dichiarazi­oni del vice primo ministro russo Yuri Trutnev, che ha paragonato i diritti delle persone di lingua russa in Ucraina ai russi delle Svalbard. Secondo Oslo la Arktikugol, attraverso l’agenzia viaggi di proprietà Arctic Travel Company Grumant, agisce come longa manus del Cremlino. Da Longyearby­en non partono più visite turistiche verso Barentsbur­g. Dello sport si è già detto. Tornerà prima o poi il derby del Polo Nord? «Sono solo un amministra­tore, non un politico», ha risposto il sysselmann Lars Fause all’emittente NRK. «Le questioni legate alla sicurezza e alla politica internazio­nale riguardano la Norvegia, l’Europa e la Russia, non le Svalbard e i russi. Io mi impegno a mantenere le relazioni con le autorità di Barentsbur­g il più amichevoli e costruttiv­e possibili». Meno conciliant­e il presidente dello Svalbard Turn, Signe Selven: «La fine della guerra è una condizione necessaria ma non sufficient­e per la ripresa degli scambi. Ci saranno altre valutazion­i che andranno fatte e che vanno oltre gli accordi politici».

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KEYSTONE Reminiscen­ze dell’Urss aBarentsbu­rg
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KEYSTONE La casa di tutti i semi conosciuti

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