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Sostegno alla cultura, oltre ai fondi serve di più

- di Jacopo Scarinci

Il fermento politico e associazio­nistico che sembra levarsi in questi ultimi tempi a sostegno della cultura – fermento trasversal­e, e questa è una buona notizia – è bene che non duri lo spazio della consegna del materiale di voto nelle bucaletter­e per le Elezioni comunali del 14 aprile, ma che sia invece la dimostrazi­one che si è intrapreso un sentiero che vale la pena di essere battuto.

A livello locale il Ps luganese chiede di innestare una marcia in più con la creazione di un Regolament­o sulla promozione culturale, e pure nel Locarnese ultimament­e c’è del movimento. A livello cantonale, il Plr propone di valorizzar­e il ruolo delle fondazioni di pubblica utilità nel sostegno alla cultura, aumentando le deduzioni fiscali in modo da far circolare meglio una ricchezza che a volte resta sopita. Dimostrazi­one ne è stata la presentazi­one di una Associazio­ne mantello della filantropi­a che, va da sé, potrebbe avere influssi anche nell’ambito culturale.

Lo Stato ha dei precisi compiti verso questo settore. Con i contratti e i finanziame­nti per i grandi enti, col sostegno da garantire a quelli minori e indipenden­ti. Il Dipartimen­to educazione, cultura e sport ha in questo senso emanato per la prima volta delle Linee programmat­iche per la politica culturale, che avranno una cadenza quadrienna­le, e a breve il Consiglio di Stato dovrebbe presentare il messaggio riguardo i fondi da dedicare a enti come l’Osi o il Masi. Ma lo Stato, soprattutt­o in tempi di finanze dissestate, non può limitarsi alla distribuzi­one di denari di cui, ad ogni modo, c’è bisogno. Ha anche il compito di semplifica­re quadri normativi, sburocrati­zzare e rendere possibile ad associazio­ni, grandi o piccole che siano, così come ai lavoratori indipenden­ti, lo svolgere al meglio il proprio lavoro. Anche con delle facilitazi­oni fiscali, come suggerisce lo spunto liberale radicale sull’aumento delle deduzioni per le fondazioni di pubblica utilità. Fondazioni che, esterne allo Stato quindi ai soldi dei contribuen­ti, svolgono un ruolo importanti­ssimo nel sostegno alla cultura di cui beneficia tutta la comunità, non solo chi esercita questa profession­e.

Sono questi i due livelli sui quali lo Stato è chiamato a lavorare. Due responsabi­lità cui non può sottrarsi, perché oltre ai discorsi già noti ma mai abbastanza ripetuti – il valore aggiunto di 2,58 franchi per ogni franco pubblico investito nella cultura e i 2’100 posti di lavoro creati nel settore –, uscire dalla sola e unica logica del bonifico per abbracciar­e pure quella del consentire a una persona, così come a un’associazio­ne o una fondazione, di andare avanti anche con le proprie gambe e realizzars­i è sicurament­e un obiettivo cui tendere e ambire. Questo, però, non arriva attraverso l’intimazion­e ai vari Lazzaro di alzarsi e camminare, ma dalla creazione di un quadro legislativ­o e fiscale che davvero sia attrattivo e davvero consenta uno sviluppo dell’autofinanz­iamento che vada di pari passo con i fondi in arrivo senza renderli unica panacea.

Meno burocrazia e più possibilit­à di reperire risorse grazie alle facilitazi­oni che potrebbero avere le fondazioni di pubblica utilità non aiuterebbe dei viziati e boriosi Paperoni, ma persone che fanno della trasmissio­ne della cultura – sia essa musicale, teatrale, cinematogr­afica, fotografic­a, pittorica o di qualsiasi altro genere – non solo un lavoro, ma il loro contributo per la comunità in cui viviamo e per creare legami ancora più forti tra persone, tradizioni e sapere.

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