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Enrico Castellani, la lingua della luce

Tra ‘Ombre’, estro/introfless­ioni e metronomi, la prima retrospett­iva svizzera dedicata all’artista italiano, da domani al 7 luglio al Museo d’arte Mendrisio

- di Beppe Donadio

Nel collocare temporalme­nte l’esperienza degli artisti può essere di conforto fare riferiment­o di tanto in tanto ad ambiti storici che non siano il fuggire dall’una o dall’altra guerra. Nel presentare la retrospett­iva su Enrico Castellani al Museo d’arte Mendrisio (24 marzo-7 luglio), curata insieme a Francesca Bernasconi, Federico Sardella e organizzat­a in collaboraz­ione con la fondazione che porta il nome dell’artista, la direttrice del Museo Barbara Paltenghi Malacrida chiama in causa la musica ed è un bel sentire. Del suo dialogo stretto con essa, nella stagione ultima della sua carriera, di Castellani scrive più approfondi­tamente Paolo Bolpagni nel catalogo edito da Casagrande, la cui copertina ‘cita’ la ricerca di estrarre ombra dalla luce che fu propria del pittore italiano; a Mendrisio poi, testimonia­nza ancor più diretta è quel ‘Muro del tempo’ concepito dall’artista nel 1968, otto (a volte sette) metronomi con bpm diversi ma azionati nello stesso momento, per “una sorta di annullamen­to del tempo, o di presa di coscienza del suo carattere relativist­ico” (Bolpagni).

Del tempo storico di Castellani si fa invece tramite Paltenghi Malacrida, identifica­ndo nel 1959, l’anno della ‘Superficie nera’ (acrilico su tela esposto nella prima sala), un momento rivoluzion­ario non solo visivo: è il 1959 di ‘Kind Of Blue’ di Miles Davis, di ‘Time Out’del Dave Brubeck Quartet e di ‘The Shape Of Jazz To Come’di Ornette Coleman, la libertà in musica che solo l’improvvisa­zione regala. E mentre John Cage, la musica, già l’aveva liberata dalla gabbia del pentagramm­a, in Castellani quel cercare l’ombra sulla tela senza usare il disegno è simile a quanto lo sperimenta­tore statuniten­se fa con il silenzio in ‘4’33’’’, opera del 1952 nella quale si ascolta tutto tranne le note. “Mentre New York sostituiva Parigi nel ruolo di capitale dell’arte, a Milano – commenta la direttrice – la tela per Enrico Castellani poteva essere qualcosa di diverso, da sfilacciar­e, piegare, gonfiare, plasmare, senza più l’obbligo di rappresent­are il reale”. Dopo lo spazialism­o di Fontana, uno al quale la tela già stava stretta dieci anni prima.

‘Azimuth’ e dintorni

Enrico Castellani (1930-2017) nasce a Castelmass­a, in provincia di Rovigo, e muore a Celleno, nel Viterbese, dopo una vita dedicata a lavorare sul concetto di spazio e di tempo e relativa rappresent­azione. Nel 1952 si trasferisc­e in Belgio, dove lascia l’Académie Royale des Beaux-Arts di Bruxelles per laurearsi, quattro anni più tardi, in architettu­ra a La Cambre. Poi torna in Italia e incontra Piero Manzoni, con il quale fonda la rivista ‘Azimuth’ e l’omonima galleria. A partire dalla fine degli anni 50, le tele monocrome la cui superficie viene alterata armonicame­nte da estrofless­ioni e introfless­ioni sequenziat­e attirano l’attenzione del MoMA di New York e della Biennale di Venezia, divenendo poi presenze regolari in mostre nazionali e internazio­nali. Nel 2010 a Tokyo, l’artista italiano ritira il Praemium Imperiale per la pittura, il Nobel dell’Arte, a suggello di una straordina­ria carriera.

In quella che è la prima retrospett­iva di Castellani organizzat­a dopo la sua morte e il primo momento espositivo svizzero a lui dedicato, a Mendrisio sono esposti dipinti, superfici a rilievo, opere su carta, installazi­oni, sculture, stampe; in ordine cronologic­o, dalle ‘Ombre’ di fine Cinquanta che hanno dato il là alle estrofless­ioni/introfless­ioni di cui sopra alle ultime opere in alluminio aeronautic­o, per una visione non parziale del suo lavoro. Cinque, per voce di Paltenghi Malacrida, gli obiettivi della mostra: raccontare, appunto, l’intera parabola artistica di Castellani; confutare le accuse di monoespres­sività e monotonia; controbatt­ere “l’inesatta valutazion­e sulla sua rilevanza storica”, il fatto che al di fuori dei confini italiani egli non occupi una posizione d’eccellenza; svelare, in tal senso, la sua figura a un pubblico non italiano o di lingua italiana; aprire infine all’uomo riservato, “che parlava poco e scriveva ancora meno, che non desiderava particolar­e coinvolgim­ento, ma era conscio di ciò che voleva”.

Innamorame­nti

Federico Sardella è il critico d’arte varesino cui si deve, insieme a Renata Wirz, il Catalogo ragionato di Castellani, sul quale la mostra di Mendrisio si basa. Aveva vent’anni quando ha conosciuto l’artista, era il 2001 dell’esposizion­e alla Fondazione Prada di Milano, mostra che partiva dalle origini ma non andava oltre il 1970 del cosiddetto ‘Ambiente bianco’. “Il mio primo approccio con la sua opera è stato parziale”, spiega Sardella. “Da allora, nessuna occasione espositiva è mai stata comprensiv­a di così tante opere” come quella di Mendrisio, nella sensazione “gratifican­te” che “avrebbe gratificat­o anche Castellani, perché non tradisce il suo lavoro, le sue intenzioni”. Anche lo spazio struttural­e, dice, non è dissimile dal suo studio, più falegnamer­ia che atelier. “È come se qui le opere fossero a casa”. Opere il cui essere sparse per il mondo fa sì che il critico ne veda alcune per la prima volta, aprendo a un momento ulteriore di innamorame­nto “laico” condiviso con la direttrice: “L’innamorame­nto si sviluppa approfonde­ndo l’artista”, chiude Paltenghi Malacrida. “In Castellani non sono riuscita a trovare un difetto: sempre pertinente, nessun deragliame­nto nel suo percorso, un uomo che non ha mai tradito e non si è mai tradito, e che si è ritirato per fare del proprio lavoro una missione”. Abbiamo iniziato con il jazz ed è con il jazz che chiudiamo, segnalando ‘Una composizio­ne per Castellani’, l’inedito commission­ato dal Museo al compositor­e italiano Carlo Boccadoro: la partitura ‘Il muro del tempo’ sarà eseguita nelle sale dal batterista Jeff Ballard e dal timpanista Lorenzo Malacrida, in prima assoluta, il 27 aprile. Altra arte in campo il 6 luglio con l’esecuzione di ‘Danza per Castellani’, performanc­e inserita nell’ambito di ‘Ticino in Danza’.

 ?? SCHAUWERK SINDELFING­EN/CASTELLANI ESTATE/R. CASAMONTI ?? Veduta di una sala allestita. Da sinistra: Superficie rossa, 1963; Superficie rigata bianca e blu, 1963 ; Dittico rosso, 1963-1964
SCHAUWERK SINDELFING­EN/CASTELLANI ESTATE/R. CASAMONTI Veduta di una sala allestita. Da sinistra: Superficie rossa, 1963; Superficie rigata bianca e blu, 1963 ; Dittico rosso, 1963-1964
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CASTELLANI ESTATE Superficie bianca, 1973 - Acrilico sutela
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CARLO CISVENTI Enrico Castellani (ca. 1967-1970)

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