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La rappresagl­ia e i dilemmi di Putin

- di Aldo Sofia

Prevedibil­e. Anzi, scontato. Mandanti o partecipi della carneficin­a di Mosca sono i ‘neljud’, i ‘non umani’ ucraini, come da due anni vengono chiamati in Russia. Saranno loro a pagare più pesantemen­te la rabbia, la ritorsione, anche la paura innescate dalla strage nel feroce assalto al gremito mega anfiteatro ‘Crocus’ a nord della capitale. Putin lo ha sostanzial­mente annunciato già venti ore dopo l’attacco (Kiev ha «offerto una finestra» ai terroristi per entrare nella Federazion­e); il giornale indipenden­te ‘Meduza’ ha rivelato che ai media statali (dunque quasi tutti) è stato ordinato di non insistere sulla matrice islamica bensì “sulla pista ucraina”; e la polizia ha riferito che il quartetto del commando già arrestato durante la fuga era diretto a sudovest, quindi verso i confini del Paese ‘invaso’ nel febbraio 2022 e da ‘denazifica­re’. Il Cremlino si è invece limitato all’essenziale sull’autentific­ata (filmati, foto, nomi) rivendicaz­ione jihadista dell’Isis. Lo ‘zar’ si è presto fissato sulla scelta più facile. In definitiva l’unica subito percorribi­le. L’apertura di un fronte anti-islamico (di un islam combattent­e) è infatti un grande rischio per la Russia. Come stanare i terroristi nella vastità del Caucaso musulmano, e mentre sei già impegnato in una guerra europea lungo le tue frontiere. Come riuscire a stanare leader e manovalanz­a dell’Isis-K nei loro santuari in Afghanista­n, dove non è affatto dimenticat­a l’invasione russo-sovietica del 1979 (preambolo all’implosione dell’Urss). Come farlo senza riallargar­e la faglia fra Mosca alleata dell’Iran teocratico e tuttavia invisa alla parte del mondo islamico radicale sunnita, ancora memore della disumana repression­e denunciata da Anna Politkovsk­aja (per questo assassinat­a) nella Cecenia musulmana ribelle e accusata, spesso in modo ambiguo, di quasi tutti gli attentati nella Russia dei primi anni Novanta. Ancora: insieme alla Cina, il ‘Sud globale’, nuova disordinat­a piattaform­a su cui punta il Cremlino, stavolta potrebbe anche non apprezzare. Infine, e comunque prioritari­o il vero dilemma politico: procedere alla replica militare anti-islamista, ma soprattutt­o con quali rischi per la tenuta degli equilibri interni della stessa Federazion­e russa, che ha Repubblich­e a maggioranz­a o forte componente musulmana, le più periferich­e e povere del Paese, da cui molti giovani sono stati inviati come carne da macello sul fronte ucraino, quindi materiale infiammabi­le. Cogliendo esattament­e questo punto esiziale, sabato Putin ha promesso (anche al suo potere): “Non permettere­mo a nessuno di distrugger­e la multi-etnicità della Federazion­e”.

Quindi, che Ucraina sia. Senza nessuna prova, o anche vero indizio, di colpevolez­za. In realtà Putin sceglie per la vendetta il bersaglio più facile: condiviso e popolare sul fronte interno; e abbastanza ‘comodo’ militarmen­te viste le attuali debolezze militari del nemico. Escalation garantita, anche se nelle ultime ore un po’ di sordina Mosca l’ha messa alle accuse sparate su Kiev. Infatti, Putin sa che un eccesso di reazione potrebbe aiutare l’Occidente a ricompatta­rsi e la Nato a trovare ‘le armi della sopravvive­nza’ invocate da Zelensky.

Perciò, partita aperta. Ed esiti ancora imperscrut­abili.

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