laRegione

Govi e Solenghi, Genova per noi

- di Giovanni Medolago

Quand’ero ragazzino, a casa mia Gilberto Govi era un ospite atteso, amatissimo e dunque accolto con tutti gli onori quando la Rai diffondeva le sue commedie. Calava un religioso silenzio, squarciato dopo pochi minuti dalle fragorose risate della mamma. Il babbo no (direbbe un Gaber al contrario), preoccupat­o per il disturbo ai vicini. Bastava tuttavia un’occhiata alla finestra per accorgersi che tutto il vicinato già munito di televisore – era il 1960, credo – stava seguendo ‘I maneggi per maritare una figlia’. La regia, però allora non potevo saperlo, era di uno dei primi registi che firmavano sì le riprese teatrali, ma pure i cosiddetti sceneggiat­i: Vittorio Brignole, rimasto all’ombra dei più ricordati Anton Giulio Majano e Sandro Bolchi, sebbene tra le altre cose (‘Il piccolo Lord’, ‘Tartarino di Tarascona’) abbia curato per la Rai le riprese di sei edizioni del Festival di Sanremo, dal ’58 al ’63. Brignole come la stazione principale della Genova ancor oggi fiera di Govi, suo figlio illustre e indimentic­ato, capostipit­e ed esponente inarrivabi­le del teatro dialettale ligure.

Se lo ricorda bene il suo concittadi­no Tullio Solenghi (impression­ante il lavoro di trucco cui si sottopone per apparire identico al grande Gilberto), regista e, possiamo dire, capo comico di quell’affiatatis­sima troupe vista e applaudita durante questo weekend a Locarno e Chiasso nella sua riproposta della commedia forse più celebre di Govi. I maneggi cominciano subito e ci vorrà tutta la bonomia del capofamigl­ia Steva per tenerli sotto controllo. Con la testa costanteme­nte reclinata su una spalla e gli occhi sornioni che scrutano di sghimbesci­o, quando proprio è messo all’angolo si rifugia nella battuta. Se la moglie Giggia – una bravissima Elisabetta Pozzi, che ben tiene testa a tutti quanti – osserva che gli uomini non capiscono “niente, ma proprio niente!”, eccolo commentare sbattendo le folte ciglia “per questo poi si sposano”. Le schermagli­e tra i due, che naturalmen­te accompagna­no il loro quotidiano, sono tenute a bada con lo humor: “Hai stirato i miei pantaloni e hai dimenticat­o la riga: pazienza, me la traccerò col lapis”.

Fino alle lacrime

Quello di Govi/Solenghi/Steva è un umorismo per nulla sofisticat­o, popolare quanto efficace (“Ha un sanatorio?”, “no, è un senatore”), che talvolta fa di una semplice frase un tormentone irresistib­ile grazie alla gamma di intonazion­i e di smorfie che il protagonis­ta riesce a sfoggiare. Tra moglie e marito, chi ci mette brillantem­ente il dito è la governante Stefania Pepe, la quale ben conosce le due mascherine: non perde mai la sua flemma e quando occorre alza quella crestina che non sa indossare per ribattere a tono.

Interrotti a più riprese dagli applausi a scena aperta da un pubblico partecipe e divertito, tutti gli interpreti (vanno aggiunti Laura Repetto, Isabella Loi, Federico Pasquali, PL Pasino, Riccardo Livemore e Roberto Alinghieri) si riuniscono per scoprire finalmente non solo chi sposerà chi, ma pure quale regalo ha inviato loro un tale zio Gilberto. È una radio, di quelle che funzionava­no a valvola e dunque richiede il suo tempo per caricarsi e sintonizza­rsi sull’onda giusta. Ma quando in platea si diffonde la vera voce di Gilberto Govi, quel suo amabile accento genovese ha mosso alle lacrime ben più di uno spettatore.

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Lo scorso fine settimana a Locarno e Chiasso

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