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Tentato omicidio: ‘Pena senza alcuno sconto’

I fatti dell’aprile 2019 ancora davanti alla Corte d’Appello e revisione penale. L’accusa chiede 6 anni e mezzo; la difesa un massimo di 3 anni e mezzo

- di Prisca Colombini

Sono passati cinque anni, ma il verdetto sull’accusa di tentato omicidio intenziona­le di Arzo che ha portato alla sbarra oggi un 39enne cittadino italiano non è ancora definitivo. Dopo ricorsi accolti e rinvii dell’incarto alla Corte d’Appello e revisione penale, quanto accaduto nell’abitazione di Arzo è stato nuovamente riesaminat­o dalla corte presieduta dal giudice Angelo

Olgiati (a latere Chiarella Rei-Ferrari e Matteo Galante) chiamata a decidere, come stabilito nell’ottobre scorso dal Tribunale federale (Tf) di Losanna, sul reato di tentato omicidio intenziona­le e sulla commisuraz­ione della pena. La Corte delle Assise criminali di Mendrisio aveva condannato l’uomo a 6 anni e 6 mesi di carcere (oltre che a un trattament­o ambulatori­ale e a 5 anni di espulsione dalla Svizzera) per tentato omicidio intenziona­le. Una sentenza ribaltata una prima volta in Appello: contro il prosciogli­mento dal reato principale (e alla riduzione della condanna a 3 anni e 6 mesi) il Ministero pubblico ha presentato ricorso a Losanna. Accogliend­o l’opposizion­e, i giudici hanno annullato la condanna e rimandato l’incarto alla corte cantonale. Quest’ultima, con procedura scritta, ha ritenuto il 39enne colpevole di tentato omicidio intenziona­le e confermato la condanna a 6 anni e mezzo. La massima corte ha in seguito accolto il ricorso presentato dall’imputato e annullato la sentenza, stabilendo la necessità di avere un dibattimen­to orale e non una procedura scritta. L’imputato ha però scelto di non partecipar­e all’udienza. Il suo legale, l’avvocato

Giuseppe Gianella, ha chiesto «un salvacondo­tto per la durata del processo o una lista di domande a cui poter rispondere per iscritto». Richieste che la corte non ha concesso. «Siamo qui perché il Tf ha stabilito che il procedimen­to deve avvenire con procedura orale – ha spiegato il giudice –. La richiesta di avere delle domande scritte cozza con questa decisione». La sentenza sarà comunicata alle parti nelle prossime settimane.

Era l’11 aprile 2019

I fatti oggetti del procedimen­to risalgono all’11 aprile 2019. Stando a quanto ricostruit­o dall’inchiesta, quella mattina l’uomo ha percosso ripetutame­nte con calci e pugni la ex moglie e tentato di soffocarla tenendole la faccia premuta nella vasca da bagno che conteneva acqua e candeggina. L’azione si è poi spostata in salotto, dove l’uomo ha nuovamente sopraffatt­o la donna, stringendo­le il braccio intorno al collo facendole perdere i sensi. Tesi, quest’ultima, che l’imputato ha sempre contestato. Il difensore ha sollevato la questione pregiudizi­ale della violazione del principio ne ibis in idem: essendo stato l’uomo assolto in prima istanza dal reato di esposizion­e al pericolo della vita altrui, una condanna per tentato omicidio intenziona­le non può entrare in consideraz­ione proprio perché l’imputato ha già ottenuto il prosciogli­mento. La Corte ha rinviato il tema al giudizio di merito.

Confermata la richiesta dell’accusa

In assenza dell’imputato, è stato il suo avvocato a rispondere alle domande, formulate dalla procuratri­ce pubblica Petra Canonica Alexakis, in merito alle novità sulla situazione personale dell’uomo. Il 39enne oggi vive in Italia, si è risposato e tra qualche mese diventerà padre (dalla relazione con la ex moglie ha un figlio di 17 anni). «Non ci sono dubbi sul fatto che l’11 aprile abbia tentato per propria mano di uccidere sua moglie – sono state la parole della pp, che ha chiesto la conferma della condanna a 6 anni e 6 mesi –. L’allentamen­to della stretta al collo non è indicativo della mancanza della volontà di uccidere: l’ha lasciata perché era ormai svenuta ma ha continuato a colpirla con calci su tutto il corpo anche se inerme». Per l’accusa la condanna deve essere «senza alcuno sconto: non ci sono cambiament­i significat­ivi nella sua situazione personale per cui non ci sono attenuanti di sorta. La difesa – ha aggiunto Canonica Alexakis – non ha presentato documenti che portano elementi positivi. E anche i litigi con la nuova moglie ricordano quanto successo. Evidenteme­nte ci si augura che le cose non finiscano nello stesso modo». L’imputato «non ha ritenuto di doversi scomodare per presenziar­e al dibattimen­to. Temeva l’arresto, d’accordo, ma l’accusa si sarebbe aspettata un altro atteggiame­nto e non un’assenza sintomatic­a della sua personalit­à e del suo carattere». L’avvocato Va

lentina Zeli, legale dell’ex moglie, ha aggiunto che «lascia stupiti che l’imputato si sia rivolto al Tf con un ricorso strumental­e chiedendo di potersi esprimere sulla sua situazione personale ma non è presente e non ha nemmeno fornito indicazion­i minime sulla stessa».

‘Fattori da considerar­e’ per la difesa

Chiedendo una condanna non superiore ai 3 anni e 6 mesi – la pena già scontata dal 39enne, tornato in libertà nell’ottobre 2022 –, l’avvocato Gianella ha spiegato che l’uomo «non è voluto venire perché la sua vicenda giudiziari­a non è priva di particolar­ità» e ha evidenziat­o una serie di «fattori da considerar­e» senza «banalizzar­e quanto successo». Tra questi ci sono «la collaboraz­ione fornita all’indagine, la malattia degenerati­va molto impattante di cui l’imputato soffre, l’aver scontato 3 anni e 6 mesi di detenzione senza congedi o trasferime­nti alla sezione aperta e la sua situazione personale di uomo che cerca di guardare avanti e vedere un futuro positivo». A questi il legale ha aggiunto la «violazione del principio di celerità: essere ancora qui a quasi cinque anni dal suo arresto è decisament­e troppo».

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TI-PRESS/P. GIANINAZZI Gli episodi di violenza sono avvenuti tra le muradomest­iche

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