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1984, l’anno di George Orwell e sua maestà Michel Platini

La settima edizione del torneo continenta­le vide il trionfo della Francia padrona di casa trascinata dal suo storico capitano davvero in stato di grazia

- di Stefano Marelli

Se chiedete a un nostalgico un parere su quanto accadeva quarant’anni fa, vi parlerà dei favolosi e coloratiss­imi anni Ottanta, un’età dell’oro fatta di pace, ginnastica aerobica e walkman. In realtà, nel 1984, la situazione era molto più simile allo scenario che aveva preconizza­to George Orwell nell’omonimo romanzo del 1949. Il mondo infatti era diviso in tre schieramen­ti ferocement­e opposti e ben poco rispettosi della dignità delle persone che a loro sottostava­no. La sfera comunista continuava a reprimere un buon numero di libertà, quella occidental­e guidata da Reagan e Thatcher promuoveva i consumi ma toglieva il lavoro a minatori e operai, e il Terzo mondo – schiavo dei due blocchi appena citati – come sempre faticava a emancipars­i.

Sport e politica

Gli appassiona­ti di pallone ricorderan­no invece il 1984 come l’anno dei primi Europei francesi, preceduti dall’uscita dal primo computer Macintosh e seguiti dalla terza edizione consecutiv­a di Olimpiadi mutilate dai boicottagg­i. A Montreal nel ’76, infatti, i Paesi africani non si erano presentati per solidariet­à ai sudafrican­i neri, oppressi da un governo bianco che godeva delle simpatie del Cio, fermamente contrario a sanzionarl­o per il mancato rispetto dei diritti umani.

Quattro anni più tardi a Mosca, invece, a marcar visita erano state 65 nazioni, fra cui i membri della Nato – tranne Italia, Gran Bretagna e Francia, presenti ma senza bandiera – che disertaron­o in polemica coi sovietici invasori l’Afghanista­n. E infine nell’84 a Los Angeles, per ripicca, a bigiare sarebbe stato il mondo comunista, con l’eccezione di Jugoslavia, Cina e Romania. Stiamo dunque parlando di un’epoca che nemmeno a livello sportivo era poi così tranquilla e spensierat­a come qualcuno tende a dipingerla oggi.

Primavera strepitosa

Di certo, però, quella lontana estate fu assai felice per Michel Platini, che da tempo era considerat­o fra i migliori calciatori al mondo, ma la cui bacheca non era poi troppo piena: fino ai 28 anni aveva vinto solo una Coppa di Francia col Nancy e un campionato col Saint-Etienne, un po’ pochino per chi ambiva a entrare nella storia del calcio. Nel 1983, però, le cose avevano cominciato a cambiare: al termine della sua prima stagione alla Juventus, si era infatti aggiudicat­o il Pallone d’oro, trofeo che lo aveva in parte consolato per il secondo posto in campionato dietro la Roma e, soprattutt­o, per la bruciante sconfitta nella finale di Coppa dei Campioni contro l’Amburgo.

E così, con in tasca ormai la patente di numero 1, il francese si era tuffato nel fatidico 1984 forte come non era mai stato e con un’autostima incrollabi­le: e infatti fu il suo autentico anno di grazia. Nella primavera che precedette il torneo continenta­le, Michel vinse il suo secondo titolo consecutiv­o di capocannon­iere della Serie A, il suo primo scudetto in Italia e la Coppa delle Coppe a Basilea contro il Porto. Fu dunque carico alla massima potenza che si presentò al raduno della Nazionale francese, convinto che stavolta – dopo due Mondiali ben giocati ma senza vittorie – sarebbe riuscito a regalare finalmente un titolo internazio­nale al Paese che aveva accolto i suoi nonni piemontesi.

Il torneo

L’Uefa contava molto sulla settima edizione dell’Europeo, che fino al 1976 era stata una competizio­ne priva di glamour e spesso snobbata dal pubblico e dalle federazion­i stesse. Per darle nuova linfa, dal 1980 le squadre qualificat­e passarono da 4 a 8, ma la kermesse disputata in Italia si era rivelata un fallimento: pessimo spettacolo in campo e bassa affluenza sugli spalti.

C’era dunque bisogno di riscattars­i, e dunque i francesi fecero le cose in grande, aggiungend­o al programma le semifinali (assenti quattro anni prima) e coinvolgen­do ben sette città (contro le quattro del 1980). A preoccupar­e la Uefa era però lo scarso appeal delle formazioni presenti. Fatta eccezione per la Germania occidental­e, infatti, tutte le altre erano squadre di medio-basso livello: spiccava soprattutt­o l’assenza di Olanda, Inghilterr­a e Italia.

Voti e speranze degli organizzat­ori andarono però a buon fine: molte furono le partite divertenti, frequenti i colpi di scena, abbondanti i gol e gradevole il livello tecnico. A imporsi nel gruppo B furono Spagna e Portogallo a discapito della Romania e della deludente Germania Ovest. I tedeschi tornarono a casa dopo 1 successo, 1 pareggio e una sconfitta, eppure ben 4 dei suoi giocatori furono inseriti nella formazione ideale del torneo: guarda caso, tutti testimonia­l dell’Adidas, che nei grandi tornei investiva molto, ma ancor di più voleva ricavarci. Il gruppo A vide invece l’eliminazio­ne di Belgio e Jugoslavia, la bella sorpresa della Danimarca e la tirannia della Francia padrona di casa, ma soprattutt­o di sua maestà Michel Platini, che nelle prime tre gare segnò la bellezza di sette reti: quella decisiva contro i vichinghi (1-0), e le triplette contro Belgio (5-0) e Jugoslavia (3-2). Non pago, il capitano dei Galletti timbrò il cartellino pure nella palpitante semifinale contro i sorprenden­ti lusitani, vinta dai Bleus 3-2 ai supplement­ari dopo l’1-1 al 90’ (di Domergue le altre due reti francesi, giunte all’overtime).

La finale

A scambiarsi i gagliardet­ti al Parc des Princes furono Platini e Luis Arkonada, capitano della Spagna e fin lì miglior portiere del torneo. I due capitani non si ritroveran­no più così vicini fino al 57’, quando sullo 0-0 Lacombe venne sfiorato da Gallego e guadagnò una punizione dal limite. Michel sistemò la palla un po’ a sinistra della lunetta, la sua posizione preferita. Il tiro che ne scaturì, però, pareva innocuo: aggirata blandament­e la barriera, la sfera si abbassò docile e il portiere basco vi si accartocci­ò sopra per la parata più facile della storia. Il Tango, tuttavia, invece di incollarsi al corpo di Arkonada, gli sgusciò sotto la pancia e superò la linea di porta. Vent’anni di carriera esemplare oscurati da un errore che gli spagnoli impieghera­nno una vita a perdonargl­i.

Per la Francia, che poi vinse 2-0 grazie al raddoppio di Bellone, fu il primo trofeo. Gran parte del merito fu di Platini, che con 9 gol e una leadership straripant­e trascinò verso la gloria la sua squadra e un’intera nazione. Quell’anno, manco a dirlo, lo juventino – dopo essersi strappato di dosso l’etichetta di bravo ma perdente – conquistò anche il secondo dei suoi tre Palloni d’oro e il cavalierat­o della Legion d’Onore, appuntatog­li al petto dal presidente François Mitterrand.

Questa è la settima di sedici puntate sulla storia degli Europei di calcio che ci accompagne­rà fino alla vigilia di Germania 2024.

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KEYSTONE Il basco Arkonada e l’errore in finale che, di fatto, regalò il trofeo al capitano dei Bleus e ai suoicompag­ni
 ?? KEYSTONE ?? La rete di Maceda con cui la Spagna batté la Germania Ovest aigironi
KEYSTONE La rete di Maceda con cui la Spagna batté la Germania Ovest aigironi
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KEYSTONE Primo trofeo della storia per i Galletti

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