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Compensazi­one climatica: l’illusione della volontarie­tà

Sotto la pressione della società civile e dei media, il mercato del carbonio è caduto in discredito. E a ragione: il sistema attuale non mantiene le sue promesse e pone il Sud globale in una posizione di svantaggio

- di Maxime Zufferey, Alliance Sud (traduzione di Nina Nembrini)

Il mercato volontario del carbonio consente lo scambio di crediti di carbonio. Così un’azienda che continua a emettere CO2 può compensare le proprie emissioni finanziand­o progetti che riducono le emissioni altrove. In teoria, la compensazi­one del carbonio è considerat­a l’approccio di mercato più efficace per ottenere risultati in termini di riduzione delle emissioni a livello globale. Si basa sull’idea di massimizza­re l’impatto delle risorse che abbiamo a disposizio­ne per ridurre le emissioni utilizzand­ole laddove sono più economiche. Ad esempio, dopo aver ridotto le emissioni meno costose, un’azienda potrebbe destinare risorse a progetti tecnologic­i a basse emissioni di carbonio o a progetti di riforestaz­ione, in modo da compensare matematica­mente le emissioni che non è ancora riuscita a ridurre. In pratica, però, l’uso di crediti di compensazi­one a basso costo è fortemente criticato perché compromett­e la priorità assoluta di ridurre le emissioni e concorre a mantenere uno status quo insostenib­ile. Il crescente controllo da parte della società civile ha recentemen­te messo in dubbio le promesse, spesso ingannevol­i, di “neutralità carbonica” formulate da alcune aziende con il pretesto della compensazi­one, quando in realtà le loro emissioni continuano ad aumentare.

I mercati del carbonio: un bilancio

Dalla sua nascita alla fine degli anni 80, e in particolar­e dalla firma del Protocollo di Kyoto nel 1997, il mercato del carbonio è sempre stato oggetto di controvers­ie. Il suo sviluppo ha portato alla nascita di mercati paralleli, talvolta difficili da distinguer­e a causa delle loro potenziali sovrapposi­zioni: il mercato del carbonio della “compliance” e il mercato “volontario”. Il mercato della compliance prevede riduzioni obbligator­ie delle emissioni ed è regolament­ato a livello nazionale o regionale. Il più noto di questi mercati è il sistema di scambio di quote di emissione dell’Unione europea (Eu-Ets), al quale la Svizzera ha aderito nel 2020. In base a questo meccanismo, alcuni grandi emettitori – centrali elettriche e grandi aziende industrial­i – sono soggetti a un tetto massimo di emissioni, che possono compensare acquistand­o certificat­i da altri membri che hanno ridotto le loro emissioni oltre l’obiettivo fissato.

Tale limite massimo viene abbassato annualment­e. Nonostante la sua attuazione estremamen­te complessa, questo sistema ha contribuit­o a una certa riduzione delle emissioni nei settori interessat­i. Tuttavia, è stato criticato il fatto che nei primi tempi l’assegnazio­ne di certificat­i gratuiti ai grandi emettitori sia stata troppo generosa e che non siano stati prescritti obiettivi di riduzione sufficient­emente ambiziosi. Inoltre, il prezzo del carbonio è ancora troppo basso; dovrebbe riflettere i costi sociali di una tonnellata di emissioni ed essere gradualmen­te aumentato a 200 Usd.

Il mercato volontario, invece, non prevede attualment­e alcun obiettivo minimo di riduzione e rimane in gran parte non regolament­ato. In questo tipo di mercato vengono utilizzati anche crediti di emissione di qualità molto diversa e a prezzi molto diversi (talvolta vengono offerti a meno di 1 Usd).

I limiti del mercato volontario

La crisi di fiducia che ha colpito il mercato volontario del carbonio è dovuta non solo alla mancanza di regolament­azione e alla frammentaz­ione del quadro normativo, ma anche ai limiti tecnici di questo meccanismo. I crediti di carbonio raramente corrispond­ono all’esatta unità di “compensazi­one” richiesta; il loro effetto è sistematic­amente sovrastima­to. Ciò è dovuto all’inaffidabi­lità del metodo di quantifica­zione e alla mancanza di un sistema di controllo integrale e privo di conflitti di interesse. Ma non è tutto, spesso infatti non è chiaro se i progetti di compensazi­one soddisfino il criterio dell’addizional­ità, cioè se non sarebbero stati realizzati lo stesso senza il contributo finanziari­o dei crediti di emissione. È il caso in particolar­e dei progetti nell’ambito delle energie rinnovabil­i, che sono diventati la fonte di energia più economica nella maggior parte dei Paesi. Rappresent­ano una sfida importante anche le doppie contabiliz­zazioni, laddove un credito di emissione viene contabiliz­zato sia da parte del Paese ospitante sia da parte dell’azienda straniera. Questa procedura contraddic­e il principio secondo cui un credito può essere dedotto solo da un’unica entità. Il rischio di doppie contabiliz­zazioni è aumentato con l’Accordo di Parigi perché, a differenza del Protocollo di Kyoto, richiede anche ai Paesi in via di sviluppo di ridurre le emissioni.

Solleva molti dubbi, inoltre, la questione della permanenza delle compensazi­oni contabiliz­zate. L’estrazione e la combustion­e dei combustibi­li fossili fanno parte del ciclo del carbonio a lungo termine, mentre la fotosintes­i e quindi l’assorbimen­to del carbonio da parte degli alberi o l’assorbimen­to negli oceani fanno parte del ciclo biogenico del carbonio a breve termine. Sembra quindi illusorio voler compensare l’accumulo a lungo termine di CO2 nell’atmosfera con progetti di compensazi­one limitati a pochi decenni. Inoltre, gli stessi cambiament­i climatici causati dall’uomo stanno compromett­endo la permanenza del carbonio nei serbatoi temporanei come il suolo e le foreste, vista l’intensific­azione degli incendi, dei periodi di siccità e della diffusione di parassiti. Esiste anche il rischio di rilocalizz­azione delle emissioni (leakage) se, ad esempio, un progetto di protezione delle foreste in una particolar­e regione porta alla deforestaz­ione altrove. Le prospettiv­e di soluzioni tecnologic­he con dispositiv­i per la cattura e il sequestro del carbonio non devono essere sopravvalu­tate. Attualment­e non sono né competitiv­e né disponibil­i a breve termine nella misura richiesta. Probabilme­nte anche in futuro continuera­nno a svolgere un ruolo limitato, benché necessario.

Il colonialis­mo del carbonio acuisce le ingiustizi­e

A prescinder­e da tutto ciò, un ricorso eccessivo alla compensazi­one invece di una riduzione sostanzial­e delle emissioni è assolutame­nte insostenib­ile. Come sottolinea CarbonMark­etWatch nel suo rapporto (Corporate Climate Responsibi­lity Monitor) sull’integrità degli obiettivi di protezione del clima delle aziende che si autodefini­scono leader in campo climatico, l’attuazione dei loro attuali piani per il raggiungim­ento delle “zero emissioni nette” dipende fortemente dalla compensazi­one. Se proseguiss­e a questo ritmo, il fabbisogno di terreno per generare quote di emissione supererebb­e di gran lunga la disponibil­ità di suolo, minacciand­o direttamen­te la sopravvive­nza delle comunità locali, la biodiversi­tà e la sicurezza alimentare. Allo stesso tempo, i progetti popolari di riduzione delle emissioni nel mercato volontario, come la riforestaz­ione o altre “soluzioni basate sulla natura”, sono spesso basati su modelli “fortezza” di conservazi­one della natura, in cui le aree protette sono delimitate e militarizz­ate, a scapito degli abitanti originari. Questi progetti non nascono affatto in “spazi vuoti” dove chi inquina può piantare alberi a tappeto, bensì interessan­o spesso aree abitate da comunità indigene. La nuova corsa all’oro delle soluzioni basate sulla natura attraverso la privatizza­zione dei pozzi di carbonio naturali esacerba conflitti fondiari storicamen­te complessi e rischia di significar­e l’esproprio per le popolazion­i locali. A maggior ragione quando questi progetti limitano il diritto delle comunità indigene all’autodeterm­inazione e al consenso libero e informato prima dell’approvazio­ne di qualsiasi progetto che riguardi i loro territori.

Nel complesso, il sistema attuale è in larga misura inadeguato ad affrontare l’urgenza della crisi climatica ed è anche profondame­nte ingiusto. Concede diritti di inquinamen­to ai maggiori emettitori di gas serra, soprattutt­o alle grandi aziende e alle economie del Nord del mondo, le quali possono continuare a fare affari come prima, mentre limita i sistemi economici e gli stili di vita in particolar­e del Sud globale. Questo colonialis­mo del carbonio trasferisc­e quindi la responsabi­lità della lotta al cambiament­o climatico e alla deforestaz­ione dalle grandi aziende alle comunità locali, che sono le meno responsabi­li del cambiament­o climatico.

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ISHAN TANKHA/ CLIMATE VISUALS COUNTDOWN.
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