laRegione

La forza dell’inclusione, il peso dell’esclusione

Le persone non sono isolate, ma vivono in una realtà sociale spesso determinan­te per il benessere e la salute. Se ne è parlato in un incontro all’Usi

- di Ivo Silvestro

L’INTERVISTA Esplorando il cervello sociale

“Esclusione” e“inclusione” sono due concetti centrali nella nostra vita; tuttavia rischiano di rimanere due parole astratte, come sospese in una nube di incertezza su cosa davvero significa, per noi e per gli altri, far parte di un gruppo o al contrario esserne allontanat­i.

L’Università della Svizzera italiana ha organizzat­o – tramite Usi in ascolto, l’iniziativa di sostegno psicologic­o per studenti, docenti e collaborat­ori, e il Servizio pari opportunit­à in collaboraz­ione con il Servizio sport e con il patrocinio della Divisione socialità della Città di Lugano e del Dipartimen­to della sanità e della socialità del Canton Ticino – una giornata per mettere a fuoco questi concetti. L’incontro “Passa la palla” che si è tenuto martedì scorso è partito dai risultati della ricerca, è proseguito con alcune testimonia­nze concrete per concludere, nel pomeriggio, con gli atelier dell’Associazio­ne New Ability che hanno permesso ai e alle partecipan­ti di sperimenta­re con alcune semplici attività che cosa sono, o possono essere, la condivisio­ne, l’inclusione e l’empatia.

Il titolo, “Passa la palla”, rimanda a un classico esperiment­o delle neuroscien­ze sociali noto come ‘cyberball’: un gioco virtuale che, variando il coinvolgim­ento del soggetto nei passaggi della palla, permette di simulare l’esclusione sociale. Come ha spiegato Rosalba Morese, referente di Usi in ascolto, esperiment­i come questo ci hanno permesso di comprender­e sia che l’esclusione comporta un “dolore sociale” simile, dal punto di vista neurologic­o, al dolore fisico, sia che l’inclusione è un elemento centrale del benessere della persona. Matteo Angelo Fabbris, ricercator­e in psicologia all’Università di Torino, ha subito applicato questi strumenti alle varie forme di bullismo, tra cui l’esclusione che può avvenire anche virtualmen­te, ad esempio con una chat alla quale non si è ammessi. Per contrastar­e il bullismo le politiche repressive si sono dimostrate poco efficaci in quanto trascurano le dinamiche di gruppo: la prevenzion­e deve infatti coinvolger­e tutte le persone coinvolte, non solo bulli e vittime ma anche genitori e insegnanti, lavorando sulla dimensione della cura e sulle competenze emotive. L’esclusione, come detto, può avere conseguenz­e importanti sulla vita delle persone. Incluso il suicidio che, ha ricordato Maurizio Pompili, professore di psichiatri­a alla Sapienza di Roma, è tra le prime cause di morte tra i giovani, soprattutt­o ragazzi anche se recentemen­te c’è un importante aumento dei suicidi tra le ragazze, legato molto probabilme­nte a smartphone e social media con l’imposizion­e di modelli irraggiung­ibili. Il suicidio è un fenomeno complesso che riguarda più fattori tra cui difficoltà a gestire e comunicare le emozioni, esperienze negative che vengono vissute con profondo senso di vergogna, il non riconoscer­si più nel proprio corpo. C’è in generale un senso di isolamento e di sofferenza considerat­o intollerab­ile, per uscire dal quale si vedono solo due possibilit­à: o una irrealisti­ca scomparsa totale delle difficoltà oppure il suicidio.

Nella tavola rotonda, moderata dal giornalist­a scientific­o Fabio Meliciani, ci si è confrontat­i su concrete esperienze di esclusione e inclusione raccontate dall’artista Pietro Campagnoli, persona con la Sindrome di Asperger, dalla fondatrice dell’associazio­ne New Ability Giada Besomi e dall’esperta di studi di genere Rosanna Bertuccio.

Durante l’incontro Sara Palermo, ricercatri­ce in neuroscien­ze all’Università di Torino, ha ampliato il discorso sull’importanza delle relazioni sociali guardando alla terza età, insistendo in particolar­e sul concetto di ‘social brain’.

Sara Palermo, che cosa si intende con ‘Social brain’?

È un termine che è stato individuat­o per indicare la specificit­à di alcune reti neurali che collaboran­o tra di loro per aiutarci a interpreta­re la realtà sociale. Si tratta di reti che appartengo­no a tutto il cervello, sia alle parti per così dire più ancestrali sia a quelle evolutivam­ente più nuove. Queste reti neurali hanno delle caratteris­tiche specifiche che riguardano sia gli aspetti più emotivi – quindi la valutazion­e dell’importanza di un’informazio­ne sociale che ci arriva, capire se è positiva o negativa, se ha un valore adattativo rispetto all’ambiente oppure se ci mette in pericolo – sia aspetti più cognitivi: come l’informazio­ne arriva dagli organi di senso, come viene compresa e rielaborat­a, come si trasforma in una decisione.

Queste ricerche ci mostrano i limiti del considerar­e le persone come individui isolati dal contesto sociale?

Storicamen­te si è partiti con l’occuparsi della salute dell’individuo singolo ma dalla fine del secolo scorso si è compreso che la salute dell’individuo non può essere scissa dalla salute della comunità e della società in cui la persona si trova a vivere. Le neuroscien­ze hanno adottato questa visione e hanno iniziato a valorizzar­e non solo i meccanismi e le reti neurali che consentono all’individuo di “funzionare”, ma anche a considerar­e tutto ciò che l’evoluzione umana ha portato e che fa sì che le società potessero prosperare. Ma non c’è una dicotomia tra i due aspetti. Quello che stiamo dicendo è un po’ una ripresa della visione aristoteli­ca: secondo Aristotele per stare bene le persone devono avere ‘edonia’, quindi passione, stare bene, sentimento, gratificaz­ione; ma quel benessere per essere felicità completa deve diventare ‘eudaimonia’, cioè essere prosperità per la collettivi­tà. Nel 2016 l’Organizzaz­ione mondiale della sanità ha dichiarato che la salute del singolo non è scissa dalla salute dell’ambiente sociale ed è la ragione per cui, se vogliamo fare una corretta presa in carica dell’individuo, non possiamo non tener conto di tutte le variabili sociali, economiche, geopolitic­he in cui quell’individuo è inserito.

La dimensione sociale non riguarda solo l’età dello sviluppo ma anche la terza età, con effetti sul mantenimen­to delle capacità cognitive che saremmo portati a considerar­e separate dalla dimensione sociale.

Abbiamo invece una relazione bidirezion­ale. Tanto più una persona funziona bene a livello cognitivo, tanto più riesce a mantenere delle dinamiche relazional­i e a dialogare con gli altri e viceversa. Quando il meccanismo si sbilancia da un lato o dall’altro quelle abilità vengono esercitate meno e si perdono. Se ad esempio muoiono delle persone care o i figli si allontanan­o e si resta soli, il solo fatto di non avere nessuno con cui parlare fa sì che l’accesso al vocabolari­o interno sia limitato e questo, in un circolo vizioso, può portare ad allontanar­si ulteriorme­nte dagli altri. Banalmente, la prima ragione di esclusione sociale degli anziani è la perdita dell’udito perché esclude da quello che le persone intorno a noi stanno dicendo.

 ?? DEPOSIT PHOTO ?? Comprender­e le dinamiche dell’isolamento grazie alleneuros­cienze
DEPOSIT PHOTO Comprender­e le dinamiche dell’isolamento grazie alleneuros­cienze

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland