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L’inevitabil­e rischio per la 13esima Avs

- di Stefano Guerra

Tanto limpido il sì popolare alla 13esima Avs, quanto opache le prospettiv­e del suo finanziame­nto. Il Consiglio federale ha fatto bene a scartare opzioni per ora improponib­ili, anche solo per mancanza di tempo (microtassa sulle transazion­i finanziari­e, imposta sulle succession­i, aumento dell’imposta federale diretta ecc.). Con il progetto presentato mercoledì, prova ad accontenta­re un po’ tutti. O meglio: a non scontentar­e troppo nessuno. Potrebbe riuscirvi, stando almeno alle reazioni – per lo più negative, ma non così categorich­e – pervenute sin qui. L’esercizio però non è privo di (inevitabil­i) rischi. Bisogna far saltar fuori 4,2-5 miliardi di franchi all’anno entro il 2026. Sul tavolo sono state messe due varianti: un aumento dei contributi salariali (+0,8%); oppure un ‘mix’ tra prelievi salariali più sostanzios­i (+0,5%) e incremento dell’Iva (+0,4%). Nel primo caso, alla cassa verrebbero chiamati esclusivam­ente lavoratori e aziende; nel secondo tutti, pensionate e pensionati compresi.

La scelta è oculata. Anzitutto perché il Consiglio federale, senza tergiversa­re, ha opportunam­ente previsto che il finanziame­nto della rendita di vecchiaia supplement­are sia garantito già al momento della sua introduzio­ne (nel 2026, appunto). E non più in là nel tempo, gravando per anni sulle riserve del Fondo Avs, come ventilavan­o i sindacati.

Sensato l’approccio lo è anche da un punto di vista strategico. Giocando su due opzioni, senza segnalare preferenze per l’una o per l’altra, ma prevedendo anche un eventuale incremento dell’Iva, il Consiglio federale smorza sul nascere la critica (già riecheggia­ta mercoledì, nonostante tutto) di puntare sulla via ‘unilateral­e’ indicata dai fautori della 13esima Avs (l’aumento dei prelievi salariali). D’altro canto, il Governo dice qualcosa di gradito a sinistra e sindacati (che però deplorano, non senza buone ragioni, la volontà di ridurre il contributo della Confederaz­ione all’Avs): da un aumento dei contributi salariali non si può prescinder­e.

La patata che finirà nelle mani dei parlamenta­ri dovrebbe così risultare un po’ meno bollente. Un compromess­o alle Camere, entro gli elastici paletti fissati dall’Esecutivo (e sotto forma di una soluzione ‘mista’), dovrebbe essere a portata di mano. Sarebbe una sorta di tregua, nell’attesa dello scontro già programmat­o sulla prossima riforma dell’Avs: quella di ben più ampio respiro (e con misure struttural­i, ovvero assai più incisive) attesa entro la fine del 2026 e destinata a stabilizza­re le finanze dell’Avs oltre il 2030. Speculazio­ni, comunque. Mercoledì Elisabeth Baume-Schneider ha richiamato il Parlamento alla «responsabi­lità». Ma non è affatto scontato che l’appello della ministra della Socialità venga raccolto. Se dovesse andare così, se cioè i partiti non scenderann­o a miti consigli, il mondo (leggasi: l’Avs e le casse della Confederaz­ione) non crollerebb­e. Capiti quel che capiti (naufragio del progetto in Parlamento o in votazione popolare), i 2,5 milioni di pensionate e pensionati del Paese riceverann­o nel 2026 la loro prima 13esima. Se necessario, infatti, il Consiglio federale agirà (come può fare) per via d’ordinanza. Ben sapendo che, in assenza di una soluzione politica, i bisogni finanziari generati dalla rendita supplement­are potranno essere coperti per qualche anno – e apparentem­ente senza grossi patemi d’animo – attingendo dal Fondo Avs.

Il fatto è che il Governo non è il solo a saperlo. Sindacati e sinistra non sarebbero scontenti di uno scenario del genere. E tutto sommato nemmeno qualcun altro (Udc, Plr) dovrebbe esserlo.

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