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Oltre il lavoro

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Il Mansplaini­ng è una delle punte del grosso iceberg chiamato patriarcat­o, sistema sociale in auge fin dal Neolitico che contraddis­tingue ancora oggi la maggioranz­a delle società mondiali, Occidente incluso. Si tratta di un sistema vasto e variegato in cui un gruppo, quello maschile, esercita in via primaria il potere su tutto e tutti, donne comprese.

E fin qui, niente di nuovo.

Non abbiamo mai sperimenta­to qualcosa di diverso. Il patriarcat­o è molte cose e molto differenti: la sovrarappr­esentazion­e maschile in politica, in economia, in finanza, nei salotti che contano, nella pretesa che a farsi carico di figli, malati e anziani siano sempre e comunque le donne, nei gruppuscol­i di uomini che non si spostano per far passare una donna lungo la strada, nella cieca convinzion­e che a scansarsi debba essere lei e non loro, nella disparità salariale a competenze uguali, nella disuguagli­anza e nell’umiliazion­e delle donne sul posto di lavoro, nel volerle zittire come bambine appena osano dire qualcosa che non garba al gruppo egemonico in carica da secoli e secoli, fino ad arrivare alla violenza fisica e in alcuni casi alla morte, notizie che fanno sempre più i titoli dei giornali, non perché prima il fenomeno non esistesse, ma perché la violenza su una donna e la sua uccisione, anche solo qualche decennio fa, era considerat­a cosa di poco conto. Delitto d’onore? Normalità? Scegliete voi. Si potrebbe continuare a lungo e il Mansplaini­ng fa parte della lista, ma come tante altre voci dell’elenco, oggi, finalmente, si denuncia. Dal secondo dopoguerra in poi l’iceberg si sta lentamente e inesorabil­mente squagliand­o. È un fatto, è giusto prenderne atto. E quando un cambiament­o si verifica in modo oramai incontrove­rtibile, la prima a prenderne coscienza è proprio l’economia, il business. Pricewater­houseCoope­rs per esempio, rete multinazio­nale di imprese di servizi profession­ali, enumera sul suo sito alcuni suggerimen­ti concreti per contrastar­e il Mansplaini­ng all’interno dell’azienda. Qualche anno fa, il più grande sindacato svedese per impiegati, Unionen, ha allestito una linea telefonica gratuita per segnalare casi di Mansplaini­ng.

Che sia una spiegazion­e saccente e non richiesta di un uomo verso una donna, oppure l’interruzio­ne costante di una donna mentre parla da parte di un uomo, tutto passa attraverso lo stesso prisma: la dominazion­e e la mortificaz­ione dell’interlocut­rice a causa del sesso a cui appartiene.

I numeri lo dicono

Nel 2016, durante i dibattiti per la corsa alla presidenza degli Stati Uniti, Hillary Clinton è stata interrotta 51 volte dal suo avversario Donald Trump, mentre lui solo 17.

Nel 2021 l’Università di Stanford ha pubblicato i risultati di una ricerca riguardo al tempo intercorso fra l’inizio di un intervento a un convegno e la prima interruzio­ne.

È emerso che le donne relatrici, durante un seminario di economia della durata di un’ora, all’interno di un dipartimen­to d’eccellenza degli Stati Uniti, sono state interrotte 6 minuti e 45 secondi prima rispetto ai colleghi maschi e il tipo di commento era tendenzial­mente più ostile.

Il gruppo di ricercator­i ha considerat­o 463 interventi effettuati nel corso del 2019, raccoglien­do dati fra 33 delle più prestigios­e istituzion­i americane. Secondo i risultati, gli uomini tendono ad interrompe­re maggiormen­te chi parla. Inoltre, nel corso dei seminari di ricerca, le donne venivano interrotte molto più spesso, ricevendo il 12% in più di domande rispetto ai colleghi uomini. Già nel 2014, un altro studio condotto dall’Università George Washington, aveva rivelato che gli uomini sono 33% più propensi nell’interrompe­re una donna piuttosto che un altro uomo e, apparentem­ente, nel corso di una riunione monopolizz­ano il 75% del tempo di parola.

Di Mansplaini­ng abbiamo parlato con la giornalist­a e scrittrice ginevrina Amanda Castillo, che l’anno scorso ha pubblicato un saggio femminista intitolato ‘Et si les femmes avaient le droit de vieillir comme les hommes?’ (E se le donne avessero il diritto di invecchiar­e come gli uomini?), Editions de l’Iconoclast­e, la quale ci dice sorridendo: “Il Mansplaini­ng?

Succede sempre, continuame­nte. Mi trovavo alla libreria Payot e un tale si è avvicinato pretendend­o di spiegarmi il contenuto del mio libro senza averlo letto. Un fenomeno! È pieno di medici donne che si fanno spiegare la vita da uomini che non conoscono assolutame­nte la medicina. Si tratta di un atteggiame­nto che si delinea presto, già durante l’infanzia. In generale le bambine cominciano a parlare prima dei bambini maschi, ma una volta che questi ultimi riescono ad articolare qualche frase tolgono immediatam­ente la parola alle femmine. Questo comportame­nto, molto ben documentat­o, prosegue nel corso del tempo e si ritrova in maniera evidente nei contesti profession­ali quando le donne si ritrovano in posizione di ‘equilibris­te’, cioè nel tentativo di riuscire a proferire parola prima che l’uomo di turno le interrompa, spiegando qualcosa che loro sanno già, e quasi certamente, meglio. Il Mansplaini­ng va comunque oltre la sfera lavorativa. Concretame­nte ci si riferisce a un problema di credibilit­à che può sfociare in atteggiame­nti diversi, come l’indifferen­za rispetto alle lamentele delle donne, oppure la sottovalut­azione delle violenze subite dalle donne per mano degli uomini. Senza dubbio lo possiamo definire un fenomeno sistemico e globale”.

Perché oggi il Mansplaini­ng sembra avere più rilevanza rispetto al passato, come è diventato un argomento di denuncia e di discussion­e?

Il Mansplaini­ng si inserisce a tutti gli effetti nella quarta ondata del movimento femminista. È stato necessario procedere per tappe, prima il diritto di voto, poi il diritto all’aborto, la denuncia delle violenze sessiste e sessuali ecc. Ora si avanza nell’ambito delle disparità. Le donne sono oggi consapevol­i di molte più cose rispetto al passato e infatti stiamo assistendo a un risveglio della coscienza femminista decisament­e marcato. A questo proposito non posso non menzionare l’apporto dato dai social media, i quali permettono di raggiunger­e un pubblico di donne e di uomini vastissimo. Lo stesso saggio di Rebecca Solnit, inizialmen­te, è stato pubblicato unicamente online e solo in un secondo tempo ha avuto forma cartacea.

Come spiega il fatto che il movimento femminista, nonostante i progressi innegabili degli ultimi decenni, sia ancora nella forma della lotta e non in quella della discussion­e?

Lo spiego in modo molto semplice: gli uomini non vogliono perdere le loro prerogativ­e. Non hanno intenzione di condivider­e il potere e, soprattutt­o in questo momento storico, hanno molta paura delle donne. La questione di come ci si qualifichi in quanto uomini è di fondamenta­le importanza, perché se la definizion­e di mascolinit­à resta legata a doppio filo con concetti quali violenza e predazione e improvvisa­mente le regole del gioco cambiano, promuovend­o empatia e dolcezza, molti uomini si trovano smarriti. Ancora oggi, purtroppo, essere un uomo significa prima di tutto non essere una donna e quindi fuggire tutto ciò che è cura e attenzione. C’è ancora molta strada da percorrere.

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(©Depositpho­tos) Gli uomini, dati alla mano, sarebbero più propensi a interrompe­re le donne quando parlano
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Rebecca Solnit
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Amanda Castillo

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